Informatrice turistica di ProLoco Vaprio, Silvia Dondossola illustra storicamente la Casa del Custode delle Acque di Vaprio d’Adda, mettendo a colloquio tutte le fonti bibliografiche in argomento: emergono insieme una trattazione scrupolosa e l’affetto profondo dell’autrice per questi luoghi.
L’edificio, che sorge in Vaprio, non ha una data di costruzione certa che sia giunta fino a noi. Giorgia Sormani1 la fa risalire al 1542 quando una prima testimonianza, seppur di difficile lettura, cita “[…] casa sopra il sperone alla fianca dell’incoronata nel tra di Vaver […]”; Gualtiero Oberti2, invece, colloca la prima attestazione della Casa nel 1582 quando, in un ricorso al magistrato della Regia Camera, tale Giò Ambrosio scrive “[…] far una Casa per il camparo del naviglio di martesana per servitio della R.C. nel luoco di Vaprio dov’è la Casa d’essi presso I ponte del molino […]” specificando che non avrebbe dato la sua autorizzazione quale legittimo proprietario, con i nipoti, dell’area “[…] se no’ se gli vien pagato […]”3. Nel medesimo anno un altro documento riferisce che “[…] l’edificio era stato progettato in relazione agli importanti ed impegnativi compiti di controllo delle acque propri del camparo […]”4 che all’epoca era Vittore Pedruzzi, detto il Duca. I documenti lascerebbero intendere che gli anni dell’edificazione potrebbero collocarsi tra queste date e il 1586, anno di un primo inventario degli oggetti presenti nella Casa5.
La Casa del Custode delle Acque o Regia Camera era un luogo a funzione amministrativa preposto a incamerare i dazi doganali di merci e persone in transito sul Naviglio e al contempo abitazione dei campari, ufficiali nominati dal governo, cui spettava l’importante ed impegnativo compito della “cura di questo Naviglio”6: manutenere i canali ed effettuare controlli sistematici, garantirne la navigabilità intervenendo celermente in caso di necessità e sorvegliarne le prese d’acqua assicurando il rispetto delle leggi. Essi non furono, tuttavia, gli unici abitanti di questi edifici, come ci ricorda un documento del 1734, poiché “[…] in occasione delle visite ordinarie ò straordin.e per qualiche impensato accidente di rotture d’argini, ò altro, allogiano li Ministri et Ufficiali delegati dal tribun.e e gli Impresarij a carico delle quali si addossano le sodette riparazioni […]”7. Dobbiamo, infatti, ricordare che l’organo da cui dipendeva la Casa era complesso e già regolamentato dal 1386 con la creazione di un “officio delle strade, delle acque e dei ponti”8. Nel periodo ducale la competenza era affidata al Magistero delle Entrate Straordinarie, organo collegiale composto di sei questori affiancati dai notai della Regia Ducale Camera nella stesura di sentenze e contratti. Vi era, inoltre, un cancelliere che aveva competenza diretta sulle riparazioni dei navigli, sugli appalti e sulla stesura delle grida e sovrintendeva alle attività degli stessi campari. Infine agli ingegneri ducali camerali e altri agenti che operavano sotto la direzione del Magistero delle acque spettava la direzione dei lavori per gli interventi sui canali.
Tutti questi funzionari nell’esercizio delle loro attività erano ospiti dell’edificio, come testimoniato anche in un resoconto dei danni di un forte temporale del 12 luglio 17199, in cui si citano le stanze danneggiate indicandone gli occupanti: “Ill.mo Sig.re March.e Presid.e […] Spectab.e Sig.re Quest.e […] Sig.re Cancell.e […] Stanza dell’Ingeg.re”. Tuttavia con l’andare dei secoli la Casa prese anche funzione di stazione per i viaggiatori10, collocata nell’ambiente con volta a botte e con un grande camino che oggi accoglie la Galleria Interattiva Leonardo in Adda, e diede alloggio anche a personaggi di alto rango, quali ad esempio, nel 1653, “[…] La Marchesa Grilla con la sua famiglia per alloggiare alla casa della Camera di Vaprio […]”11 o ancora si ricorda il passaggio della principessa di Savoia in viaggio verso Milano, occasione in cui vennero date alcune disposizioni: “[…] promissione del mobile per uso R.C. di Vaprio […] altre promissioni fatte in occasione del passaggio da Vaprio della Principessa di Savoia […]”12. La Casa di Vaprio non era l’unica a sorgere lungo il Martesana: “Sette sono li campari destinati per questo Naviglio, il primo de quali è quello di Concesa Giò Batta Belazzo, abitante in una casa che la è della Regia Camera in vicinanza della Chiesa della Beata Vergine. […] Siegue il Camparo di Vaprio Giò Villa qual abita in quella parte di casa della Regia Camera, che gli resta assegnata, incominciando la di cui cura al Ponte Regio di Vaprio, e termina a quello di Gropello […]”13.
La Casa principale in origine era quella di Concesa, la più vicina all’incile del Naviglio e dotata di un magazzino per il deposito permanente dei materiali necessari alla manutenzione delle opere di presa sull’Adda14. Molto probabilmente coeva agli scavi del Naviglio (1457-63), è già sicuramente esistente all’epoca dei soggiorni vapriesi di Leonardo da Vinci che la rappresenta in un suo disegno (A view of the Adda river valley, Royal Collection Trust, RCIN 912399 – RL 12399, 1511-13 ca.). Oggi tale edificio non è più visibile poiché abbattuto nel 1947.
A ogni Casa, e quindi a ogni camparo, competeva un tratto ben definito di Naviglio, ossia di “Cure” o “Camparie” poi diventate “Custodie”. In origine si collocavano a Concesa, Vaprio, Gorgonzola, Cernusco sul Naviglio, Crescenzago e alle conche di Milano. Già alla fine del XVI secolo fu stabilita una nuova cura a Inzago, in sostituzione di quella di Gorgonzola, e una alla Cassina de’ Pomi (oggi in via Melchiorre Gioia, Milano) con responsabilità particolare sulla conca15. L’importanza e delicatezza del ruolo dei campari, e delle Case che li ospitavano, era strettamente legata al ruolo economico giocato dal Naviglio nell’incremento delle entrate del Ducato e di conseguenza il suo successivo declino commerciale causò la decadenza stessa dell’istituto e dei suoi edifici. Verso Milano i barconi trasportavano materiali da costruzione (pietra da taglio, metalli, sabbia, ghiaia, armi, utensili in metallo, prodotti agricoli, carne, formaggi, legname, carbone, ecc.) mentre dalla città provenivano manufatti e sale con carichi tuttavia inferiori poiché le barche dovevano solcare il canale controcorrente trainate a fune da bestie da soma lungo l’alzaia. Nel periodo di piena attività erano circa settecentocinquanta i barconi che transitavano lungo il Naviglio con un tempo di percorrenza di circa diciotto ore da Milano a Concesa16. Importantissimo era anche il trasporto di persone. Non dobbiamo dimenticare il ruolo che questo mezzo di trasporto ebbe nel moltiplicarsi delle ville di delizia a Vaprio, così come negli altri territori toccati dal tracciato del Naviglio, che la nobiltà milanese poteva agevolmente raggiungere con le proprie imbarcazioni.
La gente comune, invece, si spostava su barche, che oggi potremmo definire “di linea”, con orari fissi. Un decreto del 16 luglio 1750, ad esempio, indica che ogni giorno al tramontare del sole un barchetto sarebbe dovuto partire da Trezzo per Vaprio e Cassano17. O ancora nelle leggi del Regno d’Italia del 1821 e 1865 si disponeva che la navigazione avvenisse solo di giorno e non nelle domeniche e nei giorni festivi e “[…] a fronte del tempo e nonostante lo scarso numero delle persone […]”18. L’importanza del viaggio su fiume rimane in auge fino alla fine del XIX secolo e ancora a inizio del XX secolo era attivo il cosiddetto “barchètt del Vaver”.
Visto il traffico e la rilevanza, “grida speciali”, affisse nelle osterie, nelle stazioni di sosta dei barchetti e lungo il percorso dei navigli, ne regolamentavano la navigazione19. Una grida del 19 settembre 1505 prevedeva che tutte le merci in entrata o uscita da Milano fossero soggette alle imposte dette della “catena e della conca”, applicate su beni già tassati e il cui gettito era destinato alle spese di manutenzione del canale20 in modo da esonerare, in un primo momento, la Camera da tali costi. In seguito i dazi vennero trasformati in diritti fissi di navigazione, sullo stesso livello delle altre entrate dello Stato21. Tuttavia non tutte le merci erano tassate, specifiche esenzioni erano previste per l’Ospedale Maggiore, la Fabbrica del Duomo, il Castello di Milano e le altre fortezze nonché per il sale: “ […] tenuto a servare esente da detto dazio et additione tutte le robbe sarano per l’Hospitale grande, et fabbrica della Chiesa Maggiore di Milano, et de tutti li frati, monache et persone ecclesiastice et lochi pii […] per munitioni et uso del Castello di Milano, altri castelli et fortezze dello Stato e delli habitanti in essi […] et anco non si possa esigere cosa alcuna per il sale si conducesse per esso navilio […]”22.
L’importanza del commercio sul Martesana era, inoltre, incrementata dalla presenza dei porti fluviali sull’Adda che consentivano il passaggio sull’altra riva e da qui verso la Serenissima Repubblica di Venezia. Uno di questi, con Trezzo e Cassano, si trovava proprio a Vaprio nel punto in cui oggi sorge il ponte cosiddetto “di Canonica”. È un luogo reso immortale dalla veduta de Il porto de la Canonica disegnata da Leonardo durante la sua permanenza a Villa Melzi (A river landscape – The chain ferry at Vaprio d’Adda, Royal Collection Trust, RCIN 912400 – RL 12400, 1511-13 ca.). Specifiche grida regolamentavano i passaggi tra le sponde e prevedevano l’obbligo di transito a Vaprio o Cassano per il pagamento del dazio e tentavano altresì di limitare il fenomeno del contrabbando, che doveva essere assai diffuso se il presidente delle entrate ordinarie dello Stato di Milano esortava “a removere a tutta sua possenza le occasioni et i modi per quali se potessero fraudare li datii cesarei”23. Ce lo ricorda anche il Manzoni quando l’oste di Gorgonzola suggerisce a Renzo, intenzionato a passare l’Adda, che i “luoghi dove passano i galantuomini” sono il ponte di Cassano e la chiatta di Canonica24. Renzo non potrà assecondare tali indicazioni e passerà, invece, il fiume con l’aiuto di un barcaiolo in un punto dove si udivano “i tocchi di un orologio […] che doveva essere quello di Trezzo”25.
Le entrate statali non erano tuttavia garantite unicamente dai dazi sulla navigazione: anche l’acqua costituiva un bene redditizio. I navigli, infatti, non assolvevano alla sola funzione di trasporto ma anche a quella di irrigazione e alimentazione di mulini e opifici. La richiesta di acqua per tali utilizzi era tuttavia in concorrenza con la navigabilità dei canali che rischiava di essere compromessa se il livello fosse sceso sotto una certa soglia26. Il cosiddetto “privilegio dell’acqua” era divenuto un mezzo per incrementare le entrate ducali e bene di scambio per ingraziarsi favori27 già nel XV secolo quando Bianca Maria Visconti Sforza e il figlio Galeazzo Maria affrontarono il pesante passivo del Ducato con un decreto per autorizzare la vendita dei diritti d’acqua ai privati, che avvenne anche in quantità notevoli nonostante il parere non sempre favorevole dei Maestri delle entrate straordinarie28. Questa elargizione massiva compromise la continuità della navigazione soprattutto nei mesi estivi di “secca” dando origine a un compromesso, ancora in essere nel 1570, che prevedeva la navigazione limitata a due giorni alla settimana: da lunedì dalle ore 16 a martedì alle ore 22 e da venerdì dalle ore 16 sino a sabato alle ore 2229. Situazione che fu risolta soltanto sotto il governo spagnolo con i lavori di ampliamento del Naviglio, e conseguente aumento della portata, che si conclusero nel 1573.
La concessione del “privilegio dell’acqua” prevedeva il calcolo di un certo quantitativo che poteva essere prelevato dalle bocche dal titolare del diritto che a proprie spese realizzava il canale di derivazione. Al fine di evitare abusi, le bocche erano censite e verificate con appositi sopralluoghi. Dobbiamo immaginare, tuttavia, che tali frodi avvenissero con una certa frequenza poiché diverse grida furono emanate per imporre un calmiere a tali comportamenti prevedendo che nessuno “ardischa usare né tochare per alchuna via incastro né bocha alcuna desso navilio senza licenzia deli campari deputati”30. Si comprende bene, quindi, quale ruolo complesso avessero i campari nell’ingranaggio della Regia Camera affinché funzionasse il tutto sui diversi fronti, economico e pratico, in equilibro tra interessi diversi, dettati dagli svariati gradini della gerarchia sociale, a volte in contrasto l’uno con gli altri, e quale funzione di snodo nevralgico avessero di conseguenza le diverse Case.
L’architettura
L’aspetto con cui la Casa del Custode delle Acque di Vaprio si presenta ai nostri occhi, dopo i restauri del 2008-2010 a cura dell’architetto Gualtiero Oberti voluti dal Comune di Vaprio d’Adda, è frutto di una evoluzione lunga circa un secolo. Mancando di documentazione dettagliata, le varie fasi architettoniche sono state ipotizzate dallo stesso Oberti31 grazie all’analisi storiografica condotta proprio durante le fasi dei restauri. I momenti di modifica della struttura della Casa possono, così, riassumersi in quattro: una fase iniziale alla fine del XVI secolo, un primo ampliamento all’inizio del XVII secolo, un secondo alla metà del XVII secolo e un ultimo intervento alla fine dello stesso secolo.
Abbiamo già visto come l’anno preciso dell’edificazione della Casa sia incerto, ma con buona probabilità collocabile dopo la seconda metà del Cinquecento. Un inventario del 1588 di “robbe et utensilij […] consegnate à Vittor di Pedruzzi detto il Duca camparo sopra il Navilio di Martesana […]”32 si completa di una descrizione dei locali a lui affidati: due sale al piano terra e due camere al primo piano che componevano l’abitazione e alcune costruzioni minori a funzione di stalle e magazzini. Oberti ipotizza che tali ambienti originari siano oggi identificabili nella sala di accesso alla Casa, all’attigua saletta affrescata e alle corrispondenti al piano superiore, mentre non sono più visibili le costruzioni di servizio.
Un documento del 164333 ci descrive un edificio più ampio rispetto a quello del 1588: si è aggiunta la porzione a destra dell’attuale ingresso e il volume posto a sud, oggi inglobato nella costruzione. Molto probabilmente la necessità di ospitare funzionari della Camera Regia e personalità aristocratiche aveva reso indispensabile la costruzione di sale idonee a tale funzione. La medesima nota è anche una proposta di miglioramento della struttura “[…] per poter godere le due Camere nuove superiori quali sono imperfette, et ingodibili […]”, costruire una loggia sul fronte nord e “[…] potere comodamente discendere nella corte davanti mediante cinque scalini di ceppo […]”.
La planimetria generale della Martesana redatta da Bernardo Robecco nel 167934 è corredata da una planimetria (disegno 409d) a china e non datata che, oltre a prevedere un’ipotesi di modifica, dà conto della disposizione delle sale del primo piano a quell’epoca. Il numero di stanze si limita a quattro: quella che oggi è la vecchia cucina, la sala accanto, un grande salone, oggi diviso a metà, che occupava l’attuale superficie della sala di accesso e Infopoint e di quella retrostante, e una sala attigua. Si nota un portico rettangolare oggi non più esistente mentre la struttura appare più stretta dell’attuale e con l’ingresso posto a nord.
Non vi è ancora traccia del portico in affaccio sull’Adda né del porticato attuale di ingresso né dello scalone di accesso al primo piano. Proprio quest’ultimo è oggetto di due proposte: realizzare due rampe di scale nella sala oggi affrescata oppure modificare la stretta scala all’epoca esistente in una scala elicoidale. Nessuna delle due opzioni venne evidentemente realizzata se nel 1695 l’ingegnere provinciale Giuseppe Robecco relaziona “[…] la scala d’asse, che serve per andare à superiori [è in] stato pericoloso […] e che “[…] già che devvesi rifare tutta di novo, stimarei si puotesse fare in altro sito […]”35. L’altro sito è quello in cui sorge l’attuale scalone, anche se resterà in uso solo per poco tempo prima di dover essere rifatto a causa di un cedimento del terreno.
L’ultimo e conclusivo intervento risale, quindi, alla fine del Seicento quando vengono realizzati: lo scalone, il portico sulla strada alzaia e quello che si affaccia sull’Adda, il balcone sagomato del lato sud e quello squadrato del fronte est, il portale e il cancello di ingresso in ferro battuto; inoltre viene alzata la quota della corte portandola allo stesso livello della Casa, oltre a interventi di finitura e arredo, come dalla nota del 1699 di Mastro Domenico Bre36 che ci dettaglia i lavori e le relative spese. Una mappa topografica del 1749 ci mostra una Casa già distinta nei suoi tre volumi: quello principale ampio, maestoso e aperto a sud, l’avancorpo porticato a pianta quadrata tramite il quale si accede all’edificio da nord e quello più a est da sempre destinato a residenza del camparo37.
Durante gli ultimi lavori di restauro della Casa viene rinvenuto, sotto diverse mani di scialbo, uno stemma sulla chiave di volta del portico che oggi accoglie i visitatori, elemento architettonico proprio risalente a questa ultima fase. Lo stemma spagnolo, cui il Ducato di Milano faceva ormai parte, riunisce i diversi regni all’epoca dominati: regno di Castiglie, Catalogna, regno d’Aragona, Portogallo, regno di Navarra, ducato di Brabante, regno di Sicilia e, al centro, il biscione visconteo. Il tutto è racchiuso dalla corona spagnola e dal Collare dell’Ordine del Toson d’oro e sostenuto da due putti in volo. Non si hanno documenti che consentono di datare la realizzazione di tale affresco ma, secondo Sormani38, la tecnica utilizzata – l’uso del bianco di calce, la mancanza della sinopia e l’incisione diretta del disegno – lo collocherebbe verso la fine del Seicento e l’inizio del Settecento. La studiosa lo identifica, quindi, come stemma di Filippo V di Borbone mentre Oberti39 lo considera coevo all’edificazione del portico e riferito al regno di Carlo II d’Asburgo.
In realtà l’ultimo intervento di cui troviamo traccia, oltre a manutenzioni straordinarie a seguito di temporali e altri eventi simili, si colloca agli inizi del XVIII secolo e ha quale oggetto proprio lo scalone nobile che, come già accennato, necessitò di lavori di rifacimento a causa di un cedimento. Nel 1726 la “scala da nobile” viene definita in “[…] imminente rovina […]”40. E l’anno seguente iniziarono i lavori che richiesero un maggiore consolidamento del terreno con la conseguente creazione di un nuovo locale interrato, con “[…] un volto di pietre cotte forti in malta impostato ne nuovi e vecchi fondam.ti di muro […]”41: l’attuale sede della Galleria Interattiva Leonardo in Adda.
Delle diverse stanze di cui si compone la casa, l’unica ad essere interamente affrescata è quella al piano terra accanto alla sala di accesso che accoglie l’Infopoint. Gli affreschi sono stati riportati alla luce durante gli ultimi interventi di restauro. Si tratta di vedute paesaggistiche non meglio identificate racchiuse in cornici dipinte, molto probabilmente del XVIII secolo. Anche la mano risulta ignota: una delle ipotesi è che si tratti di artisti di passaggio che pagavano in questo modo l’alloggio, il che poteva giustificare il tratto rapido del pennello che vi si distingue. È altresì possibile ipotizzare che vennero appositamente commissionati per abbellire il locale in occasione della visita di personaggi illustri42.
La Casa del Custode nella storia dell’arte
La presenza della nobiltà milanese che ha edificato le belle ville di delizia che si sono affiancate nei secoli alla quattrocentesca Villa Melzi, ha fatto dell’abitato di Vaprio il soggetto di diverse vedute paesaggistiche. Artisti, più o meno celebri, sono stati di passaggio nel territorio, chiamati da una committenza aristocratica o in transito sul naviglio, come pare essere il già citato caso degli affreschi nella sala al piano terra della Casa.
Tra i più famosi artisti citiamo Gaspar van Wittel e Bernardo Bellotto che, a distanza di quasi mezzo secolo l’uno dall’altro, hanno quivi soggiornato e ci hanno lasciato vedute, prese da diverse prospettive, degli abitati di Vaprio e Canonica e dell’Alzaia, con la Casa del Custode che ben si riconosce nelle opere di Bellotto. Van Wittel (Amersfoort, Utrecht 1652/53 – Roma 1736) è un artista olandese noto in Italia anche come Vanvitelli, la cui presenza è documentata a Roma nel gennaio del 1675 quando ha ventitré anni43. Della veduta di Vaprio da lui dipinta esistono sette diverse versioni, di cui tre datate: 1717 (Holkham Hall, collezione Leicester, inv. 162), 1719 (Roma, collezione privata) e 1722 (Londra, Christie’s, 1949, n. 128) e una con datazione probabile intorno al 1730 (Bergamo, Accademia Carrara). Inoltre al Museo di S. Martino a Napoli (cat. D251) è conservato un disegno preparatorio databile intorno agli anni Novanta del Seicento44. Proprio in quegli anni il pittore è chiamato a dipingere le Isole Borromee di cui, come nel caso vapriese, ci lascia molte vedute prese da almeno tre punti di vista.
L’occasione di questo secondo soggiorno lombardo45 alle Isole Borromee gli è propizia per muoversi lungo la pianura lombarda, attratto dalla bellezza dei paesaggi e dai corsi d’acqua. L’interesse dell’artista per i panorami fluviali si manifesta già a Roma. Probabilmente il suo primo incarico accanto al connazionale, l’ingegner Cornelis Meyer cui Papa Clemente X chiede un parere sulla possibilità di rendere navigabile il Tevere, influenza van Wittel che si accosta in tale frangente all’approccio scientifico di Meyer e alla sua sensibilità all’ambiente fluviale, tanto da divenire in seguito un leitmotiv delle sue vedute46.
Numerosi sono gli scorci della Città Eterna attraversata dal Tevere che sono giunti fino a noi e molti realizzati per i suoi mecenati, i principi Colonna. L’innovazione delle vedute di van Wittel risiede nella rappresentazione delle architetture di tre quarti con il fiume a fare da spartiacque e dare respiro alla città incombente. Lo strumento che rende possibile questo è la camera ottica, largamente diffusa in tutta Europa alla metà del Seicento. Questa tecnologia permetteva di intervenire con un’ampia attività di “post- produzione”47 rispetto al disegno preparatorio e variarne le proporzioni in base al risultato che si voleva ottenere, anche a distanza di moltissimo tempo. Gli stessi dipinti di Vaprio, infatti, vengono realizzati, almeno quelli datati, circa una trentina di anni dopo il suo passaggio nel territorio. Lo stesso atteggiamento dell’artista, il rivenire sul soggetto a distanza nel tempo e modificare il disegno preparatorio per realizzare diverse vedute, è documentato nel caso di numerosi altri dipinti48.
La presenza dell’artista proprio a Vaprio, oltre che attratto dal fascino delle acque, potrebbe essere dettata da una specifica richiesta di un amico, non meglio identificato, dei suoi mecenati romani, i già citati principi Colonna, che possedeva una villa a Vaprio49. Quale che sia stata la ragione che lo condusse fino a qui, è certo che ci lascia delle vedute dettagliate di come appariva la riviera di Vaprio, con le sue ville ancora oggi riconoscibili, il percorso del Naviglio separato dall’Adda dall’alzaia e momenti di vita quotidiana: barconi e chiatte in transito, lavandaie che camminano e persone che si riposano lungo il fiume. Il punto di vista adottato dall’artista sembra essere proprio quello in cui sorge la Casa.
Forse ispirato dalle opere di Gaspar van Wittel, anche Bernando Bellotto (Venezia 1721 – Varsavia 1780), nipote del già famoso Canaletto e di cui utilizzerà l’appellativo viaggiando nelle corti mitteleuropee, dipinge diverse vedute di Vaprio, optando, a differenza dell’illustre collega, per più punti di vista che consentono di raffigurare il paesaggio da monte, da valle e dalla sponda canonichese dell’Adda. Ne risultano cinque dipinti a olio e tre disegni preparatori su carta di cui due conservati al Hessisches Landesmuseum di Darmstadt (inv. no. AE 2215 e AE 2216) e uno al Museo Nazionale di Varsavia MNW – Muzeum Narodowe w Warszawie (Rys. Pal. 2039). Delle cinque tele, la più celebre è nelle collezioni del MET di New York, datata 1744, mentre le altre si trovano al Museo di Capodimonte e in collezioni private.
Bellotto, durante il suo soggiorno a Milano, è a Vaprio nel 1744 su richiesta del conte Antonio Simonetta, raffinato collezionista, che nella località possedeva Palazzo Simonetta, oggi sede del Comune, e la vasta proprietà a nord dell’abitato chiamata Monasterolo, oggi Villa Castelbarco50. Sulla commissione di almeno due delle cinque opere non sembrano esservi dubbi poiché nei disegni di Darmstadt si leggono le iscrizioni: “Copia dela Veduta di Vaver e Canonica del Sigr: Bernardo Belloto deto: il Canaletto / per il Illo: Sigr: Conte Simonetta / l’anno 1744” (inv. no. AE 2215) e “S. Ea il Sig. Cavaliere Antonio Simonetta” (inv. no. AE 2216). Si tratta della tela del MET e di quella che è il suo pendant, dal 2004 a Capodimonte51. La prima, dal titolo Vaprio e Canonica sull’Adda verso nord è datata 1744 e raffigura i due villaggi visti dalla sponda del fiume Adda di Canonica, riconoscibili le ville di delizia della riviera vapriese, la chiesa di Canonica e, ben visibile, la Casa del Custode delle Acque. La seconda, Vaprio e Canonica verso sud dalla riva occidentale dell’Adda52, mostra sempre i due abitati con le ville ma dal lato opposto e stavolta è visibile anche il Naviglio con l’alzaia che separa i due corsi d’acqua. In entrambi si nota un intervento non attribuibile a Bellotto con l’aggiunta di figure dal gusto rococò53.
Un terzo dipinto, in cui non compare la Casa ma ne è molto probabilmente il punto di vista, come già accaduto nelle antecedenti vedute di Gaspar van Wittel , è riferibile alla Collezione del cardinale Giuseppe Pozzobonelli: Vaprio e Canonica verso nord-est, oggi in collezione privata. Il dipinto, che è firmato in lettere capitali, mostra sempre i due abitati separati dall’Adda e dal Naviglio e con il dettaglio di una coppia a passeggio lungo l’alzaia la cui dama è abbigliata in rosso e regge un ombrellino. Il suo disegno preparatorio è quello oggi conservato a Varsavia e reca in calce una scritta autografa a penna “Vista di Vaver fatta da Bernardo Bellotto de:° il Canaletto” e un’annotazione a matita “quadro si trova a Dresda“. Secondo Succi questa terza opera per la sua resa cromatica sarebbe leggermente successiva, seppur sempre intorno al 1744, rispetto a quelle realizzate per il conte Simonetta54.
I restanti due dipinti, di minore dimensione e oggi in una collezione privata milanese, Vaprio e Canonica verso nord-ovest e il suo pendant Vaprio e Canonica verso sud, riprendono esattamente i punti di vista dell’opera della Collezione Pozzobonelli e quella di Capodimonte modificando alcuni piccoli dettagli nei personaggi che si muovono nel paesaggio. Succi ipotizza che tali opere siano, inoltre, più tarde rispetto alle tre già citate esprimendo “una maturità stilistica e una potenza espressiva” che l’artista avrebbe raggiunto verso il 1747-174855 quando non era più in Italia ma a Dresda56. Questo spiegherebbe la nota al disegno di Varsavia in cui si cita la presenza del dipinto a Dresda, come riferibile a questa ultima versione eseguita nella città sassone utilizzando gli stessi schizzi preparatori57 disegnati sulle rive dell’Adda.
L’edificio della Casa del Custode appare sia nelle vedute da monte sia in quella del MET, vista da valle dalla sponda canonichese. In quest’ultima emerge il volume chiaro con lo zoccolo in ceppo dell’Adda e i due piani superiori con le otto finestre del piano terreno e le sei del secondo piano, e i balconcini al centro del lato che si rivolge verso la manifattura Velvis e quello più corto verso il fiume. Oberti58 ci fa notare che è visibile anche il magazzino realizzato nel 1643 addossato al fronte sud al piede dello zoccolo, oggi non più esistente, e che la Casa sembra già aver assunto la sua forma definitiva con la parte est “da nobile” destinata a ospitare i ministri e i delegati del magistrato e con i portici già realizzati.
La vista da monte delle due versioni ci rappresenta una Casa leggermente diversa: come ci segnala ancora Oberti, nel dipinto milanese “l’edificio appare più alto e quadrotto” mentre in quello di Capodimonte “si presenta più basso, incassato e simile a quanto possiamo riscontrare oggi”. Secondo l’architetto la spiegazione è da ricercarsi nell’innalzamento della strada alzaia che costrinse la Camera Regia a realizzare tre gradini per accedere al portico dalla via di transito. Questo, sempre secondo Oberti, sarebbe un criterio per datare, a differenza di quanto espresso da Succi, come più tardo il dipinto di Capodimonte. Inoltre, la versione conservata a Milano, vede appoggiati accanto al portico di ingresso dell’edificio alcune assi in legno, quasi a testimoniare che ci fossero dei lavori in corso alla Casa o nel Naviglio, dettaglio non incluso nell’altra versione. È invece una licenza pittorica, in questa seconda versione, l’inserimento di un quarto piano con la sua fila di finestre59.
Resoconti, annotazioni, testi di leggi, mappe, disegni, opere d’arte, ci parlano lungo i secoli della Casa del Custode delle Acque ed evocano quanti si sono mossi attorno a questo edificio facendoci immaginare il lavoro febbrile che vi veniva svolto, il grande passaggio di genti, il vociare animato, il sussurro delle dame e i racconti che giungevano da lontano. Una struttura che non è mai stata vuota, se non per brevissimi periodi, e che oggi raccoglie queste eredità e si fa luogo di cultura e memoria per le future generazioni.
Silvia Dondossola – Informatrice turistica ProLoco Vaprio
1 Giorgia Sormani, La Regia Camera di Vaprio d’Adda. Documentazione finalizzata al suo restauro, tesi di diploma, Accademia di Belle Arti “Aldo Galli” di Como, a.a. 1999/2000, relatore Clemente Tajana.
2 Gualtiero Oberti, La casa della Regia Camera di Vaprio, Lubrina Editore, 2014.
3 1582, Molto III.S ori, è pervenuta notizia…, ASMi, Atti di governo, Acque parte antica, pezzo 945, cfr. Oberti.
4 1582, ASMi, Atti di governo, Acque parte antica, pezzo 945, cfr. Sormani.
5 1586 adì 12 marzo, Inventario delle robbe…, ASMi, Atti di governo, Acque parte antica, pezzo 945, cfr. Oberti.
6 Fabrizio Alemani, La navigabilità del Naviglio della Martesana (1468-1573), «Storia in Martesana», N° 10, 2016.
7 G. Oberti, op. cit.
8 G. Sormani, op. cit.
9 G. Oberti, op. cit.
10 G. Sormani, op. cit.
11 1653, ASMi, Atti di governo, Acque parte antica, pezzo 945, cfr. Sormani.
12 1724 adì 22 agosto, ASMi, Atti di governo, Acque parte antica, pezzo 945, cfr. Sormani.
13 s.d. (tra 1730-1750), Incombenze dei campari, ASMi, Acque parte antica, cart. 883, cfr. Giuseppe Benaglio, Relazione istorica del Magistrato delle Ducali Entrate straordinarie nello Stato di Milano, Milano 1740.
14 G. Sormani, op. cit.
15 Giò Battista Settala, Relationi del Navilio Grande et di quello di Martesana della Città di Milano, Milano 1603, cfr. Alemani.
16 Annapaola Canevari, La navigazione sul Naviglio Martesana, in La storia di Vaprio, volume IV, a cura di Claudio M. Tartari, Comune di Vaprio d’Adda, 2000, pp.183-185.
17 G. Sormani, op. cit.
18 A. Canevari, op. cit.
19 Edo Bricchetti, I Navigli Lombardi. Una storia di acque, Navigli Lombardi s.c.a.r.l., 2013
20 G. Sormani, op. cit.
21 Giuseppe Bruschetti, Istoria dei progetti e delle opere per la navigazione interna del Milanese, Milano, Bernasconi, 1821, cfr. Alemani.
22 1574 adì 8 ottobre, ASMi, Acque parte antica, cart. 556, cfr. Sormani.
23 G. Sormani, op. cit.
24 A. Manzoni, I Promessi Sposi, cap. XVI.
25 A. Manzoni, I Promessi Sposi, cap. XVII.
26 Per un approfondimento sul tema: F. Alemanni, op. cit.
27 G. Bruschetti, op. cit.
28 F. Alemani, op. cit.
29 F. Alemani, op. cit.
30 F. Alemani, op. cit.
31 G. Oberti, op. cit.
32 1588 adì 24 maggio,Inventario delle robbe…, ASMi, Atti di governo, Acque parte antica, pezzo 945, cfr. Oberti.
33 1643 adì 21 aprile, Notta delle cose che vanno fatte…, ASMi, Atti di governo, Acque parte antica, pezzo 945, cfr. Oberti.
34 Descrittione del naviglio di Martesana et suo Dissegno…, ASMi, Atti di governo, Acque parte antica, pezzo 880, cfr. Oberti.
35 1695, Relatione dell’Ing.re Robecco…, ASMi, Atti di governo, Acque parte antica, pezzo 945, cfr. Oberti.
36 1699 adì 29 agosto, In casa dell’Ill.mo sig.r Marchese D. Ferdinando Cusano…, ASMi, Atti di governo, Acque parte antica, pezzo 945, cfr. Oberti.
37 G. Oberti, op. cit.
38 G. Sormani, op. cit.
39 G. Oberti, op. cit.
40 1726 Relatione de Reg. Ing. Cam. Pessina…, ASMi, Atti di governo, Acque parte antica, pezzo 945, cfr. Oberti.
41 G. Oberti, op. cit.
42 G. Sormani, op. cit.
43 Marco Carpiceci, Fabio Colonnese, Il Tevere, Gaspar Van Witel e la camera ottica. La veduta panoramica dell’ambiente fluviale, in Maria Martone, Il valore dell’acqua nel patrimonio dei beni culturali attraverso la lettura di alcuni episodi architettonici, urbani e territoriali. Acquedotti e fontane a Roma dal XVI al XIX secolo, Dipartimento di Storia del Disegno e Restauro dell’Architettura, Sapienza – Università di Roma, 2015, ARACNE Editrice int.le Srl
44 Cfr. LombardiaBeniCulturali.
45 Van Wittel era già stato, infatti, a Milano nel 1745 richiesto dai deputati della Fabbrica del Duomo per risolvere, utilizzando un architetto “forestiero”, un lungo susseguirsi di dibattiti che bloccavano il proseguimento dei lavori della facciata. Il nome di Vanvitelli viene suggerito dal marchese Pallavicino, su indicazione del cardinale Albani e con il parere favorevole dell’arcivescovo Pozzobonelli. Nonostante il nome importante dell’architetto e il progetto presentato, sappiamo che partito da Milano, tale proposta non ebbe poi seguito. (Si veda: Francesco Repishti, Alcune novità sul primo soggiorno milanese di Luigi Vanvitelli (1745), in Luigi Vanvitelli, atti del convegno (Caserta, 2000), a cura di Alfonso Gambardella, Caserta, Edizione Saccone, 2005). Lo stesso destino avrà anche il progetto per il santuario del Santissimo Crocifisso di Como, cui van Wittel è chiamato a intervenire nello stesso 1745, facendo spola da Milano, grazie all’intervento di Anna Borromeo, cognata del marchese Pallavicino e superiora del prestigioso monastero di Santa Cecilia. (Si veda: Andrea Bonavita, Francesco Repishti, Luigi Vanvitelli e un nuovo disegno per il santuario del Crocifisso di Como in «Arte Lombarda», 163, 2011 (2012), pp. 102-106).
46 M. Carpiceci, F. Colonnese, op. cit.
47 M. Carpiceci, F. Colonnese, op. cit.
48 M. Carpiceci, F. Colonnese, op. cit.
49 Empio Malara, Leonardo, Vanvitelli e Bellotto a Vaprio d’Adda: disegni e vedute del porto de “La Canonica”, Skira, 2005
50 Il nome è attributo dopo il matrimonio dell’unica figlia di Antonio Simonetta e Teresa Castelbarco, Francesca, con il cugino Cesare Castelbarco. La tenuta resterà di proprietà della famiglia fino alla fine del XIX secolo. Per approfondimenti sulla villa: Armando Bacchiet, Il Monasterolo. Dal convento Vallombrosano alla villa di delizie, Arti Grafiche Colombo, 2008
51 Katharine Baetjer, Introduzione al catalogo, The MET Museum, 2018
52 AA.VV, Il Museo di Capodimonte, Guida Breve Art’m, Prismi editrice politecnica napoli srl, 2012, p. 124
53 Succi ipotizza che il conte Simonetta impose la collaborazione con l’artista Mattia Bortoloni. I due disegni preparatori, infatti, mancano dei dettagli presenti sulle tele e in particolare la veduta del MET mostra un albero meno ingombrante rispetto al risultato finale e poche macchiette di gusto realistico. Quello riferito all’opera conservata a Capodimonte vede, invece, in primo piano a sinistra una lingua di terra sulla quale è raffigurato l’artista alle prese con una camera ottica. Dario Succi, Bernardo Bellotto: le vedute della campagna veneta e lombarda, in (ndr. Nel testo Succi riferisce la tela di Capodimonte a una Collezione privata di Roma. L’opera arriva alla collezione del Museo solo nel 2004 come dono di Bianca De Feo Leonardi e Antonino Leonardi. Si veda. Il Museo di Capodimonte, op.cit.).
54 D. Succi, op. cit.
55 D. Succi, op. cit.
56 Bellotto lascia l’Italia nel 1747, e a Dresda viene nominato pittore di corte del re di Sassonia Federico Augusto II e nel 1767 assume a Varsavia il suo ultimo incarico, prima di morire nel 1780, come artista di corte al servizio del re di Polonia Stanislao II Augusto Poniatowski. Si veda: D. Succi, op.cit.
57 D. Succi, op. cit.
58 G. Oberti, op. cit.
59 G. Oberti, op. cit.
È importante rivalutare oggi più che mai i nostri monumenti , rimetterli a nuovo e speriamo presto di ripoterli visitare.
Io con la cultura mangio e vivo….
Grazie Elisabetta! Confividiamo la speranza che ProLoco Vaprio possa presto riprendere il servizio di accompagnamento alla Casa.
Eccellente. Grazie. Isabella
Grazie Isabella. La nostra Silvia ha fatto davvero un lavoro egregio.
Ringrazio chi da tempo si impegna amorevolmente per mantenere vivo questo luogo meraviglioso che é Vaprio. L’Adda porta con se anche la Memoria del mio adorato fratello Riccardo, custode delle Sue Acque, scelse come sua ultima dimora Vaprio per il suo fiume e la sua Storia legata al grande Leonardo.
Gentile Raffaella,
la ringrazio per il suo commento. Vaprio è un luogo caro a tutti noi ed è una grande soddisfazione ricevere commenti di stima e apprezzamento per il nostro lavoro.