Sulla riva di Vaprio d’Adda Francesca Capellino, Informatrice turistica di ProLoco Vaprio, dirige i nostri passi tra Vaprio e Concesa, Adda e Martesana in una proposta d’itinerario che offre tutte le corde di una storia secolare e tutta la tavolozza di una natura a tratti ancora incontaminata.
Incastonata nel luogo dove Adda e Naviglio Martesana separano i loro corsi, la Casa del custode delle acque, si propone come un ottimo punto di partenza per una piacevole passeggiata alla scoperta della Riviera di Vaprio: luoghi storici e ricchi di curiosità immersi nella natura del tipico territorio abduano. Nel XVIII secolo questo affascinante paesaggio fu d’ispirazione a pittori vedutisti per realizzare alcune delle loro meravigliose opere. Incantarono artisti come Gaspar van Wittel e Bernardo Bellotto, il pittore veneziano, nipote del Canaletto, che ha fatto conoscere la riviera vapriese addirittura oltreoceano: il suo dipinto Vaprio e Canonica d’Adda verso nord è infatti esposto al Metropolitan Museum di New York. Allo stesso modo queste vedute, che sono rimaste pressoché identiche nonostante il passaggio di due secoli, possono oggi offrire uno spunto a vedutisti moderni: siano essi pittori, amanti della fotografia o semplici osservatori. Un paesaggio che può essere osservato percorrendo l’alzaia che separa i due corsi d’acqua, a piedi, in bicicletta oppure, nel periodo estivo, a riattivazione del servizio, in barca navigando sulle placide acque del Naviglio Martesana.
È questo il canale d’acqua fatto scavare su richiesta dei nobili proprietari terrieri con possedimenti agricoli nel territorio della Martesana per incrementarne la produzione. La petizione fu accolta da Francesco Sforza, signore di Milano, che autorizzò lo scavo a partire dal luglio 1457. Il canale, costruito principalmente a scopo irriguo (funzione che mantiene ancora oggi), si presentò anche come principale collegamento tra il fiume Adda, che lo alimenta, e la città di Milano. Esso permise di commerciare più agilmente con Milano in materie prime e prodotti, provenienti anche da territori pìù a monte, come il lago di Como oppure la Svizzera. Il Naviglio incoraggiò anche la costruzione di numerosi opifici lungo il suo corso, sfruttandone le acque per animare le produzioni. Infine, favorì la navigazione di persone sulle sue acque, tra città e campagna, per lavoro o per diletto. La nobiltà dell’epoca amava, infatti, trascorrere la propria villeggiatura nelle ville di famiglie fatte appositamente erigere lungo le sponde del Naviglio per godere della bellezza e della pace del paesaggio. La riviera di Vaprio deve, infatti, la sua particolarità proprio alle numerose dimore che su essa si affacciano donandole un’eleganza unica nel suo genere. Nessuna di queste ville è oggi visitabile al pubblico, trattandosi di dimore private, nobiliari oppure complessi residenziali; ma ognuna di esse ha una propria indole che merita di essere conosciuta. Partendo con la passeggiata, lasciata alle spalle la Casa del custode, si prosegue controcorrente il corso del Naviglio, rimanendo nel territorio comunale di Vaprio d’Adda, ma arrivando fino quasi al suo incile, che si trova circa 4 km più a nord, presso Concesa di Trezzo sull’Adda.
La prima imponente costruzione che incontrerete è Villa Visconti di Modrone. Caratterizzata dalla suggestiva torretta e dalla bella terrazza che affaccia sul Naviglio, l’edificio ha costruzione antecedente al 1755. Fu di proprietà Visconti di Modrone, famiglia che nel 1865 prese la guida dell’omonimo cotonificio che per anni produsse il pregiato velluto a coste conosciuto in tutto il mondo. La fabbrica, in parte ancora funzionante, si trova alle spalle della Casa del custode delle acque e, allo sguardo, sembra ricordare un castello, forse per rievocare le origini del nome di famiglia. Sulla facciata della villa su piazza Cavour, cuore del centro storico, così come all’ingresso della fabbrica, si ritrova ancora lo stemma della casata con il mitologico biscione che lo contraddistingue.
Proprio di fronte a Villa Visconti di Modrone, con ingresso sempre su Piazza Cavour, davanti a voi, oggi colorata in giallo e rosso, Villa Pizzagalli Alessandrini. Questa bella dimora riserva un mondano ricordo: fu spesso soggiorno tra gli anni ’30 e ’40 del secolo scorso, della famosa e bellissima attrice Anna Magnani. Un evento dell’epoca, per gli abitanti, vedere la sua auto transitare nella piazza per entrare nella villa, allora proprietà della famiglia del marito, il regista Goffredo Alessandrini. Si dice che ella amasse rilassarsi nei giardini della villa, leggendo e studiando copioni mentre apprezzava il dolce pane all’uva vapriese.
Tornando con lo sguardo all’alzaia, si incappa in una curiosa scala a chiocciola: la passerella il Vortice. Costruita nel 2013 in occasione della ricorrenza 500 anni di Leonardo a Vaprio, essa collega l’alzaia a piazza Cavour. Il progetto di Attilio Stocchi e Gualtiero Oberti riprende, nella forma a spirale, quegli schemi che il Genio toscano ebbe ampio modo di studiare e illustrare nel «De divina proportione» di Luca Pacioli. Una struttura a vortice come i mulinelli che Leonardo amava tanto osservare nelle acque del fiume. In particolare nel fiume Adda, che Leonardo poté ammirare da Villa Melzi (oggi Melzi d’Eril), la splendida dimora che si può scorgere dall’alzaia, e meglio ancora dall’alto della passerella. Qui il Maestro ebbe modo di sostare a più riprese durante i suoi soggiorni milanesi, soprattutto il secondo tra il 1506/7 e il 1513, ospite di Conte Gerolamo Melzi, Capitano della Milizia Francese, che egli conobbe alla corte di Milano. Divenutone amico, il Conte palatino offrì a Leonardo la sua dimora vapriese come luogo dove poter riposare e dedicare tempo agli studi sulle acque e sulla natura.
Permise, inoltre, al Maestro fiorentino di conoscere Giovanni Francesco, suo figlio, allora ragazzino. Il giovane Messer Francesco inizialmente si affiancò a Leonardo con mansioni di cancelleria in cambio di lezioni di pittura, arte in cui amava dilettarsi ma, ben presto, tra loro si instaurò una grande affinità. Divenuto allievo prediletto del Genio, lo accompagnò in ogni suo viaggio, sino all’ultimo. Fu talmente forte il loro legame che Leonardo, poco prima della propria morte, avvenuta nel 1519 in Francia, lo nominò erede di tutti ed ciaschaduno li libri ovvero lasciò in eredità tutti i suoi libri e manoscritti, disegni, progetti al nobile che, al suo rientro in Italia, li riportò proprio nella villa di Vaprio. Qui passò molto tempo studiandoli, riordinandoli e conservandoli gelosamente fino alla sua morte. Cosa che, purtroppo, non fecero i suoi eredi… ma questa è un’altra storia che avremo modo di raccontare.
Villa Melzi d’Eril si apre sul panorama in tutto il suo splendore. La dimora, la cui costruzione iniziò per volere del Conte palatino Giovanni Melzi nel 1482, presumibilmente sui ruderi di una precedente fortificazione, si presenta oggi dopo un restauro ottocentesco che ne ha mantenuto la forma a L, variandone però la decorazione, tipicamente neoclassica. Si aggiunse allora un piano rispetto alla villa rinascimentale conosciuta e ritratta da Leonardo. Dall’alzaia possiamo scorgere parte del vasto giardino da cui è circondata. Labirinti, grotte, terrazze e scalinate che seguono il dislivello del terreno arrivando fino alla sponda del Naviglio Martesana su cui possiamo ancora ammirare l’attracco privato che permetteva alla nobile famiglia di raggiungere Milano con la propria imbarcazione.
Separata da Villa Melzi d’Eril dalla pedonale via al ponte che conduce al ponticello sul Naviglio, fa capolino Villa Pizzi Guidoboni. Costruita nel XVIII secolo è riconoscibile dall’attuale aspetto neogotico, donatole da opera di restauro nel ‘900. A lato, troviamo Villa Monti Robecchi, oggi ristorante e complesso immobiliare, individuabile dalla bella terrazza a picco sul Naviglio, rimasta originale seicentesca. La villa fu di proprietà della famiglia Monti, per anni tra le più in vista in Vaprio per i possedimenti terrieri, per il lungo periodo di gestione del porto ma soprattutto per aver dato inizio al primo nucleo della futura Cartiera. Della famiglia ricordiamo con piacere la Contessa Anna Landriani, che amava soggiornare nella villa vapriese: grazie alla sua devozione per la Madonna di Concesa promosse, intercedendo presso il figlio Card. Cesare Monti allora Arcivescovo di Milano, la costruzione in quella località del Santuario della Divina Maternità, ancora oggi gestito dai Padri Carmelitani Scalzi.
La famiglia Monti, unitamente alla famiglia Melzi, per anni detenne la concessione del porto di Vaprio. Luogo che entrambe le nobili famiglie potevano osservare anche solo affacciandosi dalla terrazza delle rispettive abitazioni: esso si trovava, infatti, all’altezza dell’odierno ponte che collega Vaprio a Canonica d’Adda. Il ponte attuale fu costruito solo nel 1957. Prima di esso, molte furono le tipologie di viadotto costruite durante i secoli, ma più volte distrutte dalle piene del fiume o da mano umana per strategie belliche. Fino agli inizi dell’800 l’attraversamento del fiume presso il porto era garantito da un traghetto a fune. Anche Leonardo ritrasse questo scorcio in uno dei suoi schizzi, oggi conservato presso la Reale Collezione di Windsor. Potrete ammirarne una copia, attraversando il ponticello e risalendo la via Al ponte. In cima alla salita, l’Associazione Leonardo ha infatti installato un pannello che riproduce il leonardesco disegno, accanto al luogo dove il Genio potrebbe averlo eseguito, la terrazza di Villa Melzi. Ammirando il panorama sotto di voi, potrete riconoscere come, dopo cinque secoli, il paesaggio sia pressoché immutato.
In questo punto è possibile lasciare il tratto di alzaia aperta al traffico veicolare e, attraversando con cautela la strada provinciale, arrivare in un’oasi di pace e tranquillità, interamente ciclo pedonale. Sulla sinistra, potrete ammirare il complesso di San Pietro. Oggi residenziale, ospitò fino alla fine del ‘700 la chiesa di San Pietro: una delle prime chiese vapriesi, nominata già in una bolla papale del 1155. La bella torretta che contraddistingue la struttura è quanto rimane del campanile. La costruzione fu per secoli gestita dalla Confraternita che, coi proventi della coltivazione dei terreni circostanti, si occupava della manutenzione della Chiesa.
A destra dell’alzaia, una grande isola tra Adda e Naviglio Martesana. Un tempo denominata Isola Monti, perché interamente di proprietà di quella nobile famiglia. Fino alla seconda metà del ‘700, l’isola ospitava più opifici che dovevano il loro funzionamento proprio alle acque circostanti: fornaci, segheria e un maglio da rame. Proprio sul nucleo di quest’ultimo, Paolo Monti nel 1748 su pressione dell’Università dei Cartai di Milano, instaurò una follatura per gli stracci, da cui all’epoca si poteva produrre la carta. Quello fu il momento in cui nacque il primo edificio della cartiera che, nel corso di un secolo, sotto più mani, demaniali e private (più lunga e famosa fu la proprietà Binda) arrivò ad occupare l’intera isola. Oggi, purtroppo, la vedrete dormiente, chiusa e abbandonata dal 2007; posando lo sguardo durante il cammino potrete riconoscere tra i fabbricati affacciati sull’alzaia una portineria e il complesso che ospitò la foresteria per l’alloggio degli operai: splendidi esempi di architettura industriale ottocentesca.
Lasciata alle spalle l’Isola della carta (felice perifrasi dello storico Vincenzo Sala), curiosando tra la vegetazione, potete imbattervi in due piloni in pietra alti sulla riva dell’Adda. Sono ciò che rimane di un antico argano, più in basso rispetto all’alzaia, un tempo impiegato dai costruttori edili Rossi per estrerre inerti dal fiume a poca distanza dalla confluenza del Brembo. Poco a monte di questo punto, l’affluente s’immette in riva sinistro al fiume Adda. Proseguendo di poco il nostro cammino, scoprirete il punto di confluenza tra Adda e Brembo. Possiamo curiosamente notare che al centro del fiume Brembo c’è un tralicco dell’alta tensione: non è opera umana l’installazione in quel punto inusuale. Il Brembo ha un percorso molto torrentizio e spesso le sue piene, scese dai monti della Val Brembana, hanno portato a modificare il suo corso, come è avvenuto negli ultimi decenni proprio qui.
Ma adesso lasciatevi incantare, sulla sinistra, dal maestoso parco di Villa Castelbarco. Conosciuto come Il Monasterolo, questo complesso nacque intorno al 1153 come fondazione monastica: fu infatti sede del primo monastero vallombrosano femminile conosciuto in Lombardia. Rimase tale fino al XVII secolo quando venne trasformato in villa di delizia dalla nobile famiglia Simonetta. Passò poi alla famiglia Castelbarco che la trasformò nella splendida dimora che possiamo ammirare ancora oggi. Dall’alzaia del Naviglio potrete vedere l’ampio parco che si estende da Vaprio fino a Concesa: con un po’ di fortuna, si possono scorgere i daini che qui vivono in libertà o qualche scoiattolo rosso che corre sui rami delle piante, tra cui alcune essenze pregiate.
Giunti nei pressi della grande ruota sul Naviglio, guardando verso l’alto, è possibile scorgere il complesso della villa. Si intravede il terrazzo con l’ingresso all’ipogeo, che fu realizzato tra la sovrastante terrazza e il terreno digradante sul Naviglio, tra il 1835 e 1838. In esso si può apprezzare uno spettacolare susseguirsi di stanze ognuna realizzata a mosaico con un tema differente e numerose gallerie, anche’esse a mosaico, che lo collegano al corpo centrale della villa e, correndo sotto i giardini, alle strutture annesse (teatro, terme/museo e serre). L’ipogeo era interamente percorso da un sistema di giochi d’acqua, concepiti per stupire gli ospiti della nobile famiglia Castelbarco, alimentati con l’acqua del Naviglio. La ruota posta lungo il canale, infatti, non dava, come si potrebbe immaginare, energia alla macina di un mulino, bensì ad una pompa che permetteva all’acqua del Naviglio di risalire ed essere utilizzata per il funzionamento dei giochi d’acqua cosi come per irrigare i giardini della Villa.
Rimanendo in questo punto, è possibile osservare un ponticello che scavalca il Naviglio Martesana. Esso porta alla porzione di bosco dirimpetto alla villa e che un tempo faceva parte del suo vasto parco, il Salecc, nome dialettale che lo ha contraddistinto poiché, per secoli, ha ospitato una grande macchia di salici. Ora, questa località è di proprietà del Comune di Vaprio d’Adda che ne affida la cura all’Associazione Vaprio Verde. Un invito a inoltrarvi in questo bosco, scendendo verso il fiume Adda. Seguendo il mormorio dell’acqua, vi imbatterete nella bella riproduzione in legno del temutissimo drago Tarantasio, mostro mitologico che, secondo la leggenda, abitava le acque del Lago Gerundo. Più palude che lago, il Gerundo, aveva l’Adda e il Brembo per suoi immissari e, partendo da qui, occupava buona parte del territorio a valle. Le sue acque, molto paludose e per questo molto insidiose, si diceva ospitassero il drago Tarantasio a cui venivano attribuite disgrazie e sparizioni. Molte sono le leggende che lo riguardano, soprattutto sulla sua uccisione. A noi piace raccontare la sua mitica sconfitta a opera del capostipite della nobile famiglia Visconti, Uberto. Ucciso il drago, volle ricordare questo eroico gesto, immortalandolo sullo stemma di famiglia: il biscione che possiamo riconoscere scolpito anche sugli edifici di Vaprio. Ripercorrete il cammino tornando al punto di partenza, se non l’avete notato prima, magari ora lo riconoscerete.
Francesca Capellino – Informatrice turistica ProLoco Vaprio
Sintetico, ma completo. Ottimo.
Grazie Ernestino.