Nel volume Il Naviglio di Paderno: un’opera pubblica nella Lombardia del secondo Settecento (Biblion 2016), Andrea Castagna (1988) dipana la secolare vicenda del cantiere che, solo nel 1777, consegnò quel canale a un’incerta stagione di commerci. Componente la Delegazione FAI del Vimercatese, l’autore ritrae brevemente in articolo i lineamenti storici del Naviglio di Paderno.
Quale contrasto tra il Naviglio a dèstra, dove l’acqua scorre così plàcida e piana, accarezzando e pettinando le alghe, che si rizzano oscillanti dal fondo, ignara affatto della guèrra che succède all’imbocco; e il fiume a sinistra che frème e mugge buttàndosi giù all’impazzata da salto a salto, tra scòglio, formando un mare di gorghi e di spume. E’ mi pareva di vedèr da un parte il gran mondo, col suo fracasso, colle sue ire, co’ suoi tumulti, colle sue guèrre; dall’altra il filòsofo, l’ascèta, che, tranquillo, silenzioso, appartato dal mondo, pènsa, prèga, lavora. Là quanto vi ha di ciò che piú appare, di ciò che piú mena romore, ma si risòlve in una massa di spume; qui invece quanto vi ha di piú modèsto, di piú obliato o spregiato, ma che infine appròda a vèro bène e a tutto vantaggio dell’umanità.
Don Antonio Stoppani, Appendice all’edizione 1882 de Il Bel Paese
Il naviglio che costeggia il corso del fiume differisce dal canale navigabile settecentesco come si presentava fino al tardo Ottocento. La realizzazione del canale di alimentazione dell’impianto idroelettrico di Paderno, inaugurato nel settembre 1898, comportò una serie di interventi sul manufatto storico. Inoltre, attualmente il tronco di naviglio dalla prima conca, detta conchetta, al bacino di livellamento è invaso da arbusti e sterpaglie, privo d’acqua, eccetto quella sorgiva che spontaneamente scaturisce dal suolo, per la presenza di fessurazioni nel fondo, conseguenza dell’assenza di una regolare manutenzione. Ripercorrere la secolare vicenda del naviglio di Paderno ci consente di comprendere le difficoltà, non solo progettuali e costruttive, che accompagnarono la realizzazione di un autentico monumento dell’arte idraulica, in attesa di opportuna valorizzazione.
Leonardo da Vinci
I primi tentativi di derivare un canale navigabile dall’Adda risalgono al secolo XV. La realizzazione del naviglio della Martesana portava con sé il proposito di attivare la navigazione senza interruzioni tra Milano e il lago di Como mediante una bretella in sponda destra del fiume. Tuttavia, gli sforzi fatti a quel tempo non lasciarono tracce, neppure documentali.
In modo per noi abbastanza sorprendente, il patrizio Carlo Pagnani, nel suo Decretum super flumine Abduæ reddendo navigabili del 1520, trattando dei rilievi e delle livellazioni eseguiti presso Brivio ai tempi di Ludovico il Moro, tace su qualunque coinvolgimento di Leonardo da Vinci nella vicenda. Leonardo con ogni probabilità lavorò, attorno al 1496, al congiungimento del Martesana con la Fossa interna di Milano e nel 1498 venne designato da Ludovico Sforza per ricoprire l’incarico ufficiale di ingegnere ducale. Tuttavia mancano documenti e notizie storiche accertate sui compiti affidatigli in materia di navigli dal Moro e, successivamente, forse anche da Francesco I. Le idee di Leonardo da Vinci per il naviglio di Paderno, ragionevolmente elaborate durante i frequenti soggiorni presso villa Melzi a Vaprio d’Adda (1506 ca.-1513), non sono sicuramente frutto di un progetto tecnico organico e compiuto, ma sono ricavabili, non senza difficoltà, da una serie di schizzi e appunti frammentari dispersi in ben cinque fogli del Codice Atlantico. In sintesi, l’ipotesi progettuale di Leonardo si proponeva di risolvere il dislivello tra l’incile, posto poco più a monte dei Tre Corni, e lo sbocco del naviglio in Adda, all’altezza della Rocchetta, con una sola conca a pozzo, munita di paratoia a saracinesca, che avrebbe dovuto vincere un salto di circa 24 metri. Un progetto audace e originale, ma decisamente irrealizzabile con la tecnologia dell’epoca.
Benedetto Missaglia
All’origine del primo compiuto progetto per il naviglio di Paderno si pone l’atto di donazione di Francesco I del luglio 1516: il re di Francia concedeva alla città di Milano la somma di diecimila ducati annui, destinandone la metà alla costruzione di un nuovo canale navigabile. L’Ufficio di Provvisione procedette quindi con la nomina di una commissione, guidata dagli ingegneri Bartolomeo della Valle e Benedetto Missaglia, incaricata di studiare la possibilità di derivare un nuovo naviglio a Milano. Molte furono le ipotesi prese in considerazione e verificate mediante sopralluoghi che coinvolsero l’intera regione dell’alto Milanese. La scarsità dell’acqua disponibile, le ingenti spese per superare le asperità del terreno, talvolta considerazioni di effettiva opportunità indussero la commissione a prendere posizione a favore della derivazione di un canale navigabile dalla sponda destra dell’Adda.
La consapevolezza che il tratto di fiume assolutamente precluso alla navigazione si riduceva a quello detto delle rapide, irto di scogli, compreso tra il Sasso di San Michele ̶ una “guglia” di ceppo posta in riva sinistra dell’Adda, ancor oggi distinguibile a valle del noto ponte stradale e ferroviario dell’ing. Röthlisberger ̶ e la Rocchetta, l’esigenza di ridurre le difficoltà delle operazioni di scavo e la necessità di contenere i costi dell’impresa convinsero la commissione a preferire la soluzione corta prospettata da Benedetto Missaglia rispetto a quella lunga sostenuta da Bartolomeo della Valle. Lo “scavo” disegnato dal maestro Missaglia poneva l’incile nei pressi del Sasso di San Michele, a monte dei Tre Corni. Il progetto prevedeva la costruzione di dieci conche dell’altezza media di 2,67 m. La lunghezza complessiva del canale risultava di circa 2.542 m. Prevista a lato del naviglio una strada detta alzaia dal nome della fune ‒ alzaia, anzana o anzanna ‒ adoperata per il traino controcorrente delle barche. I tecnici stimarono la spesa per la costruzione del canale in circa cinquantamila ducati, ipotizzando pertanto un periodo complessivo di dieci anni per l’ultimazione dell’opera. I lavori veri e propri ebbero inizio nell’aprile 1520; all’inizio di novembre di quello stesso anno venne realizzata una chiusa di derivazione, simile a un molo tirato obliquamente nell’Adda, sotto al Sasso di S. Michele: quello che in seguito fu denominato lo Sperone dei Francesi. I lavori furono interrotti con la fine della dominazione francese, conseguenza della sconfitta subita dal Lautrec nella battaglia della Bicocca (1522).
Giuseppe Meda
Completato nel 1572, durante il regno di Filippo II di Spagna, l’ampliamento del naviglio della Martesana in modo da garantire lungo il canale una portata costante, requisito indispensabile per la navigazione delle grandi barche, tornò d’attualità l’ipotesi di perfezionare la via d’acqua dell’Adda eliminando la rottura di carico rappresentata dalle rapide di Paderno.
Giuseppe Meda, ingegnere e pittore milanese, sosteneva che il ricorso a conche “di salto straordinario” avrebbe consentito una riduzione drastica del loro numero e di conseguenza una sensibile minor spesa nel complesso dei lavori. Non da ultimo ne avrebbero guadagnato i tempi di navigazione. Nonostante l’altezza delle due sole conche previste lungo il tracciato del naviglio ‒ la minore di 6 m di salto e la maggiore, chiamata castello per via della mole imponente, di ben 18 m ‒ fosse per l’epoca arditissima, al limite dell’immaginabile, le innovazioni tecniche concepite dal Meda ne consentivano la realizzazione con un sistema costruttivo relativamente semplice.
Nell’anno 1574 Giuseppe Meda indirizzò quindi al Consiglio generale della Città di Milano un memoriale anonimo in cui prometteva di rendere navigabile l’Adda realizzando entro due anni un canale artificiale per l’importo di trentaduemila scudi. L’esame da parte di un’apposita commissione eletta tra i Sessanta Decurioni portò ad invitare l’autore, ancora ignoto, a presentarsi per la trattativa e dare avvio ai lavori il prima possibile. A questo punto però tutto si interruppe a causa specialmente dell’epidemia di peste che colpì Milano nel 1576. Ripreso in seguito il discorso forzatamente interrotto, nel marzo 1580 Giuseppe Meda, che nel frattempo si era dichiarato autore del memoriale di sei anni prima, sottoscrisse un Capitolato con cui si impegnava ad ultimare l’opera entro poco più di due anni per una somma di quattromila scudi maggiore della sua prima offerta. Restava però da sciogliere la riserva delle superiori approvazioni.
La convenzione fu spedita per la necessaria ratifica alla corte di Madrid, dove rimase senza riscontro per un intero decennio. Ciò a dimostrazione dello scarso interesse del governo spagnolo nei confronti dello sviluppo del Milanese. Non è però da escludere che agli indugi spagnoli abbiano contribuito le trame della città di Como, minacciata nella sua funzione di nodo commerciale di transito.
Sullo scorcio del 1590 giunse l’agognata approvazione di Filippo II. I lavori per la costruzione del naviglio presero dunque avvio al principio del 1591, coinvolgendo da trecento a quattrocento giornalieri impegnati, per mezzo di subappalti parziali, su quasi tutta la linea del canale. Ma, raggiunti i primi risultati, l’ardore iniziale andò scemando. Nel 1592 ebbe inizio la serie di sventure che impedì il compimento dell’opera: mancanze varie degli esecutori dei subappalti, che venivano meno agli impegni assunti; il rifiuto della città di Milano di riconoscere all’impresario un aumento del compenso pattuito, nonostante le opere addizionali eseguite nel corso dei lavori su consiglio del Meda; poi i rigori eccezionali dell’inverno 1593, durante il quale il gelo arrecò danni rilevanti ai muri degli edifici e produsse frane e smottamenti; la strada alzaia, prevista dal Meda in parte sulla sponda bergamasca per procurare maggiore risparmio, si tramutò in una complessa questione diplomatica per l’ostilità della Repubblica di Venezia; frequenti sollevazioni e tumulti fra la manovalanza indisciplinata, i cui eccessi erano favoriti dalla località pressoché disabitata e posta ai confini dello Stato, tanto gravi da imporre al Meda di chiedere la licenza di portare le armi per difesa della propria persona; la natura infida del suolo della costa d’Adda e dei cedevoli massi d’arenaria, che produsse la fessurazione dei muri degli argini; infine una generale diffidenza sul buon esito del cantiere, fomentata da ingegneri ostili al Meda. Egli conservò sempre piena fiducia nel successo dell’opera, anche quando assunse a proprio esclusivo carico l’impresa, procedendo nei lavori con mezzi propri e col denaro procuratosi a prestito, assistito solo dall’amico fraterno Alessandro Bisnati. Coinvolto in liti giudiziarie con privati per i debiti contratti, imprigionato perché compensasse i danni recati alla città di Milano, ammalatosi più volte a causa dei disagi e patimenti subiti, profondamente amareggiato per l’iniquo trattamento subìto, Giuseppe Meda morì il 18 agosto 1599 senza aver visto in funzione i suoi castelli d’acqua.
Dopo una serie di sfortunati tentativi per completare il naviglio condotti ad inizio XVII secolo, il proposito di riattivare la navigazione dell’Adda non fu più perseguito da un semplice privato né dalla sola città di Milano, ma divenne obiettivo del governo dello Stato.
Pietro Nosetti
Definito con la pace di Aquisgrana (1748) uno stabile assetto territoriale nella Penisola, da Vienna si cominciò a mostrare solerte attenzione ai destini del commercio di transito lombardo, punto di forza tradizionale dell’economia regionale, ora in declino.
Le cessioni territoriali a vantaggio del Regno di Sardegna avevano determinato infatti per la Lombardia austriaca la perdita del monopolio naturale delle comunicazioni tra il Mediterraneo e l’Europa continentale che le veniva dalla collocazione geografica di raccordo tra le grandi direttrici transalpine e la pianura. In breve tempo i mercanti sabaudi, agendo con abilità sui dazi, riuscirono ad alterare profondamente le correnti dei traffici: la via piemontese, del tutto esterna ai domini austriaci, risultava più breve e meno costosa dei consueti itinerari seguiti dalle merci attraverso la Lombardia.
Prosecuzione ideale dell’intervento di valorizzazione della via dei Grigioni, l’ipotesi di rendere navigabile l’Adda rappresentava il rimedio estremo per vincere la concorrenza piemontese e tornare ad attrarre in Lombardia i traffici sovranazionali: il governo austriaco pensò di inserire nel percorso lombardo il maggior tratto possibile di navigazione economica, collegando per via d’acqua il Lario con Milano e Pavia, mentre nell’itinerario sardo l’impiego di imbarcazioni si limitava alla sola traversata del Verbano da Magadino ad Arona.
La principale difficoltà che si frapponeva alla realizzazione del naviglio di Paderno consisteva nell’ingente esborso che l’opera comportava: per ovviarvi il cancelliere di corte e stato Kaunitz e il plenipotenziario Firmian ne addossarono l’esecuzione alla società Nosetti e Fé, imprenditori d’opere pubbliche dotati di ragguardevole patrimonio, mediante la stipula di un contratto con la Regia Camera, senza far contribuire direttamente alle spese alcuna cassa pubblica. Nonostante l’eventualità di un esito infelice fosse tutt’altro che remota, la Nosetti e Fé si impegnò a consegnare entro quattro anni il canale “a prova perfettamente eseguita”; in caso di insuccesso, garantì di “rifondere del proprio tutte le somme che [sarebbero] state in esso consunte”. Le ampie assicurazioni fornite avevano ovviamente un costo elevato, pari a ben 1.868.750 lire di grida, versabili dall’erario in più rate.
Un regio dispaccio datato 4 febbraio 1773 sancì la definitiva approvazione di Maria Teresa alla realizzazione dei canali di Paderno e di Pavia. Vista l’intenzione di avviare al più presto i lavori, l’arciduca Ferdinando, governatore dello Stato, convocò un’apposita giunta già il 13 febbraio: sulla base della considerazione che intraprendere contemporaneamente la realizzazione dei due navigli avrebbe comportato nello Stato un aumento eccessivo del prezzo dei materiali e del compenso dei giornalieri, nonché la sottrazione di un buon numero di contadini ai lavori nelle campagne, si preferì iniziare la realizzazione di un solo canale, quello di Paderno, e rinviare i lavori a Pavia.
Il cantiere, sotto la direzione di Pietro Nosetti, capomastro esperto di lavori idraulici, procedette speditamente: nell’autunno 1777 il naviglio di Paderno poteva dirsi ultimato.
Il canale, della lunghezza complessiva di 2.600 metri, si dipartiva all’altezza del Sasso di San Michele, come suggerito dal Missaglia nel XVI secolo. Sei conche di medio salto consentivano di superare il dislivello dall’incile del canale al suo sbocco; nell’ordine: il primo sostegno detto conchetta per via della caduta di soli 3.39 metri; il secondo chiamato conca vecchia perché coincidente con la prima conca del Meda debitamente adattata; il terzo sostegno detto conca delle fontane per la presenza in quel punto di acque sorgive che scaturiscono da fessure nella roccia; il quarto, posto sotto la chiesetta della Rocchetta, detto conca grande perché corrispondente con il celebre Castello, la seconda maestosa conca costruita dal Meda, ridotta ora a circa un terzo del salto originario; il quinto sostegno detto conca di mezzo e il sesto conca in Adda. A causa dell’inesorabile opposizione della Repubblica di Venezia a qualunque sconfinamento in territorio bergamasco, la strada alzaia fu tracciata interamente sulla ripida sponda milanese.
La mattina dell’11 ottobre 1777, giorno della solenne inaugurazione della navigazione, l’arciduca Ferdinando salpò dal porto di Brivio a bordo di una barca adorna di un padiglione a forma di trionfo per percorrere il naviglio e l’Adda fino a Concesa, presso Trezzo, e dimostrare così, dinnanzi alla folla di popolo accorsa a godere dello spettacolo, la bontà dell’impresa di cui aveva con tanta forza sostenuto la necessità.
Esiti dell’opera
Le grandi aspettative che l’apertura del naviglio di Paderno aveva sollevato andarono presto deluse. Il movimento complessivo delle barche risultò infatti molto al di sotto delle attese; le speranze di quanti avevano creduto che il naviglio potesse essere il mezzo adatto a rilanciare i traffici con le regioni di lingua tedesca si scontrarono con l’impietosa realtà: nel 1778 era passato per Paderno un solo carico “di mercanzie d’Alemagna”. Il nuovo itinerario d’acqua, oltre a non attrarre i traffici internazionali, stabilmente avviati lungo altre direttrici, risultava poco competitivo persino nei confronti del percorso di terra che le condotte provenienti dallo Spluga, giungendo a Como, continuavano a preferire. A scoraggiare i mercanti non erano soltanto i rischi di naufragio cui la discesa del fiume esponeva le imbarcazioni: la “nuova navigazione dell’Adda” appariva scarsamente conveniente sia sul piano dei costi ‒ l’assenza di carichi in risalita manteneva elevato il prezzo di noleggio dei natanti, cui si sommavano i dazi e le spese di facchinaggio ̶ sia su quello dei tempi di percorrenza ‒ occorrevano in particolare lunghe soste per permettere alle conche di pareggiare i livelli. Il canale di Paderno, al pari degli altri navigli, si limitò dunque a svolgere una funzione di raccordo tra i mercati provinciali e quello della capitale: la corriera che partiva da Lecco ogni settimana veniva utilizzata per l’invio a Milano di frutta, verdura, pesce fresco, vitelli e burro mentre le altre barche trasportavano in prevalenza carichi di carbone, legna e materiali per l’edilizia.
Nonostante l’avvento della ferrovia, il barcheggio proseguì lungo tutto l’Ottocento; dai primi decenni del Novecento il graduale declino della navigazione divenne inarrestabile: negli anni Trenta il naviglio perse la sua funzione primaria fino ad essere utilizzato esclusivamente a servizio dell’impianto idroelettrico “A. Bertini” di Paderno.
Andrea Castagna
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una storia interessante che pochi conoscono. meriterebbe una sintesi per renderla di agevole lettura a tutti.
Grazie per aver reso consultabili questi dati on line.
Se qualche autore volontario volesse fare la sintesi sarei disposto a pubblicala in http://www.design-art-trends.com e ad offrire un contributo di redazione per ottenere un resoconto leggero. Infatti il sito si occupa di ARTE DA NON DIMENTICARE. Se fra i nostri lettori qualcuno vuol sapere proprio tutto può fare la ricerca che più desidera.
Salve, l’obiettivo del nostro sito è rendere disponibili contributi approfonditi che possono essere usati come fonte a chi desideri scrivere testi più divulgativi e agevoli alla lettura: il sito rappresenta infatti il lato rivolto al pubblico del Centro di Interpretazione e Documentazione dell’Ecomuseo, ovvero il nostro lavoro di ricerca e conservazione della memoria storica del territorio.
Mi scuso se non ho potuto rispondere prima ma purtroppo il commento è finito nello spam a causa della presenza di un link.
Francesco (I) Sforza died in 1466, so I think you mean Francesco II Sforza, son of Ludovico.