Un castello medioevale, poi guarnigione milanese, trasformato in residenza di campagna dal condottiero Gian Giacomo Trivulzio (il Magno) ed in sontuoso palazzo rinascimentale dal pronipote cardinale Teodoro che si avvalse dell’architetto Fabio Mangone e, per gli interni, dei pittori Fiammenghini. Nel crepuscolo, la trasformazione in filanda e in cinematografo, un degrado desolante perdurato due secoli fino al parziale recupero del recuperabile sul finire del XX secolo. Con questo approfondimento si conclude la serie degli articoli proposti dall’ottimo Luigi Minuti circa le fortificazioni del nostro territorio.
“Melpum” tra Laus Pompea e lo scomparso Forum Diuguntorum in questa splendida carta dal titolo: “Italiae veteris specimen” – Insubri e Cenomanni separati dal fiume Adda – di Abraha Ortelius Anversa 1527-1598
Forse, almeno io credo, è necessaria qui una breve premessa riguardo al toponimo Melpum “Melphum” ed alla sua origine che lo storico ed archivista bergamasco, Damiano Muoni – in “Melzo Gorgonzola e loro dintorni. Studi storici con documenti e note” Milano 1866 – fa risalire all’epoca etrusca: “una delle dodici città fondate dagli etruschi in Italia Settentrionale, ricordata da Cornelio Nepote e da Plinio”. Secondo la testimonianza di Plinio, peraltro, “Melphum” sarebbe stata distrutta dai Galli boi e senoni verso il 394-390 a.C. La somiglianza del nome e la collocazione del sito, in non poche antiche tavole, là dove Melzo attualmente si trova, rafforzano l’ipotesi del Muoni, peraltro non condivisa dagli storici locali.
Melzo – Nebbiosa veduta invernale di Palazzo Trivulzio e della torre angolare dell’antico castello – Foto: Maurizio Ferrandi
Al presente, poi, avvalorano l’antichità del luogo anche le numerose scoperte archeologiche fatte nel corso della realizzazione dell’autostrada ‘Brebemi’ A35 e infrastrutture connesse, ampiamente documentate da Maria Fortunati – direttore archeologo della Soprintendenza per i beni archeologici della Lombardia – nel volume: “Brebemi un’infrastruttura per il rilancio del Paese” giugno 2014. Esse provano dunque l’antichità assai superiore a quanto sin qui documentato della presenza umana nella Media Pianura Lombarda in periodo anche anteriore a quello gallico, tra le altre scoperte: Settala, località Premenugo, presenza pre-protostorica rappresentata da una trincea con probabile funzione idraulica, forse un canale di irrigazione, contenente frammenti ceramici pre-protostorici.
Nel Medioevo Melzo appartenne al Contado della Bazana, uno dei quattro contadi in cui si suddivideva il Milanese, gli altri tre erano il Seprio, la Burgaria e la Martesana. La Bazana, che comprendeva le tre Pievi di Pontirolo Vecchio, Gorgonzola e Corneliano (da cui Melzo dipendeva), si estendeva dalla sponda sinistra dell’Adda alla Molgora, dal Lodigiano al Castello di Trezzo, che, della contea, era il capoluogo. La Bazana venne assorbita già nel XIV secolo nel limitrofo e più importante Contado della Martesana, che fino all’epoca spagnola continuò a chiamarsi “della Martesana e della Bazana”.
Come tutto il contado, nel Duecento e nel Trecento, Melzo fu teatro dello scontro fra le famiglie rivali dei Torriani e dei Visconti, conclusisi con la nascita, nel 1329, dello Stato Visconteo, trasformato nel 1395 in Ducato di Milano. Il secondo duca, Filippo Maria Visconti, dopo la lotta per la successione apertasi all’improvvisa morte del padre Gian Galeazzo (1402), premiò la lealtà del suo alleato Vincenzo Marliani, castellano di Porta Giovia a Milano, con la concessione del feudo di Melzo e di altre terre: con lui si apre la serie dei signori, conti e marchesi di Melzo e Gorgonzola.
Nella guerra tra Filippo Maria Visconti e la Repubblica di Venezia un ruolo di grande importanza strategica venne assunto, com’è noto, dalla linea dell’Adda, che aveva incominciato a segnare il confine tra i due Stati. Anche Melzo, prossimo al fiume ed ubicato sul percorso Brescia-Milano, rimase vittima degli eventi: nel dicembre 1446 l’esercito veneziano, acquartierato nella Geradadda, mosse da Cassano per compiere un’incursione su Milano, espugnando e saccheggiando al passaggio anche il borgo di Melzo.
Melzo – Palazzo Trivulzio (XVI secolo) – ingresso secondario sul lato ovest – Foto Maurizio Ferrandi
Il castello della Comunità, eretto sin dal XIII secolo a difesa delle libertà comunali e già conteso tra Guelfi e Ghibellini, ebbe a subire non pochi danni, rimanendo intatta solo la gran torre angolare quadrata (sopravvissuta anche agli scempi novecenteschi) che ancora sussiste inglobata nel complesso architettonico oggi denominato Palazzo Trivulzio dal nome della famiglia che dagli inizi del XIV secolo lo trasformò in residenza signorile.
Melzo – Chiesa di sant’Andrea – La teca con il teschio del duca Galeazzo Maria Sforza (1444-1476) – Foto M. Ferrandi
Il periodo di gran lunga di maggior interesse per la storia di questo castello è quello Sforzesco, iniziato con Francesco I Sforza nel 1450 e conclusosi (nella sua prima fase) con Ludovico Maria Sforza detto il Moro nel 1500, quartogenito di Francesco I e Bianca Maria Visconti (unica figlia, legittimata, di Filippo Maria Visconti). In particolare proprio a Melzo ebbe a dipanarsi la drammatica e romantica vicenda che ebbe quali protagonisti Lucia Marliani (1455-1522), figlia sposata del podestà di Melzo, Pietro Marliani, e Galeazzo Maria Sforza (1424-1476), primogenito di Francesco I e Bianca Maria, succeduto al padre nel 1466 e tragicamente ucciso, dieci anni dopo, a seguito di una congiura, nella chiesa di Santo Stefano in Broglio a Milano il giorno di S. Andrea.
La Marliani dunque, di buona famiglia ghibellina e fedelissima degli Sforza, come lo era stata dei Visconti, venne introdotta nel 1474 alla Corte di Milano, tra le dame al seguito della duchessa Bona di Savoia, quando venne notata da Galeazzo Maria Sforza che se ne innamorò perdutamente – vedi: Marliani Lucia in Dizionario Biografico Treccani – “Cronisti e testimoni dell’epoca sono concordi nel giudicare la Marliani, la donna più bella di Milano e di certo – prosegue il Dizionario – il duca la rese anche la più ricca”.
Melzo – Chiesa di sant’Andrea – Affreschi di gusto leonardesco riapparsi dopo i recenti restauri – Foto Ferrandi
Avviata la relazione adulterina (mascherata dal duca, il quale fece credere alla moglie che la donna fosse l’amante del fratello Ludovico Maria) Galeazzo Maria coprì la Marliani di una grandissima quantità di doni, acquistò, ristrutturò ed arredò sontuosamente per lei, in Porta Vercellina, al prezzo di 4000 ducati, il palazzo che fu del conte Pietro Torelli, e per il suo mantenimento il duca investì la Marliani delle entrate del Naviglio della Martesana, che – è scritto nel citato Dizionario – rendevano 1000 ducati all’anno, oltre a 200 ducati di appannaggio nonché le rendite di una possessione, attigua al castello di Porta Giovia, del valore di 3000 ducati.
Impressionante poi – scrivono le cronache dell’epoca- il numero e il valore delle vesti e dei gioielli che Galeazzo Maria riuscì a donarle in un solo triennio, per tutti, un evangelario già appartenuto a re Alfonso d’Aragona, acquistato da Lorenzo de’ Medici al prezzo di 10.000 ducati. Tutti i gioielli, alla morte del Duca furono devoluti all’erario ducale così come gli immobili ed il feudo di Melzo e Gorgonzola che tuttavia venne restituito, alla Marliani ed ai due figli, nel 1487, da Ludovico il Moro, il quale, 10 anni dopo volle aggiungervi alcuni altri beni ‘compensatori’ come il palazzo ed il giardino di Cusago già appartenuti alla defunta moglie Beatrice d’Este.
Milano – Via Festa del Perdono, complesso della Basilica di San Nazzaro Maggiore, sulla sinistra si erge il mausoleo Trivulzio
Dalla relazione con il duca Galeazzo Maria la Marliani ebbe due figli: Ottaviano (1476-1541) che diverrà vescovo di Lodi incarico che esplicherà con intelligenza ed impegno, ma sarà anche Governatore di Milano al momento cruciale del passaggio dall’occupazione francese alla restaurazione sforzesca e Galeazzo (1477-1515) detto il “contino di Melzo”. La Marliani, che dal marito Ambrogio Raverti ebbe altri sette figli, morì a Milano il 15 dicembre 1522 nella sua casa di Porta Nuova e venne sepolta nella chiesa dei padri Umiliati di San Pietro in Gessate – dove si conservano capolavori assoluti di Bernardo Zenale e Bernardino Butinone – nella cappella di S. Michele, di proprietà del marito.
Di Galeazzo Maria Sforza, che si sapeva sepolto in Duomo accanto al padre Francesco ed alla madre Bianca Maria, è da segnalare il recente ritrovamento dei resti mortali sotto il pavimento del presbiterio di San’Andrea in Melzo, poco distante dal nostro castello. Le analisi scientifiche del Dna, comparate con quelle della figlia di Galeazzo, Bianca Maria Sforza (1472-1510) nel sepolcreto di Innsbruck, dove è sepolta accanto al marito, l’imperatore Massimiliano d’Asburgo, li accreditano attendibili, vedi il volume: “Chiesa di Sant’Andrea Melzo – Storia, Arte, Ricerche e Misteri Leonardeschi” ed. 2005, pagg. 145-168, nel quale sono rappresentate anche ipotesi suggestive sulla presenza a Melzo, di Leonardo, Bernardo Zenale e Giovanni Francesco da Melzo (che di Leonardo da Vinci è stato l’erede universale) sulla paternità dei favolosi affreschi riemersi dai restauri della chiesa e sul loro significato nell’ottica di una spiegazione dell’evento dell’assassinio a Milano dello stesso duca Galeazzo Maria il 26 dicembre 1476 e, per rimanere in alveo Sforzesco, sulla figura di Caterina Sforza (1463-1509) figlia legittimata di Galeazzo Maria e Lucrezia Landriani, sposata con Girolamo Riario, signora di Imola e contessa di Forlì, madre del condottiero Giovanni delle Bande Nere e molto altro.
Melzo – Suggestivo angolo della città, a due passi dal castello, dove antico e nuovissimo convivono – Foto Maurizio Ferrandi
Con l’invasione francese e l’esilio di Ludovico il Moro, il vasto feudo di Melzo e Gorgonzola con le sue pertinenze fu avocato al fisco ducale, poco dopo, il 15 novembre del 1499 ne venne investito Gian Giacomo Trivulzio detto il Magno (già compagno d’arme di Galeazzo Maria), maresciallo di Francia, sostenitore della causa francese, al quale il 26 settembre del medesimo anno Luigi XII aveva già assegnato la città di Vigevano con le sue terre ed il titolo di marchese. Il Trivulzio è sepolto a Milano in Porta Romana nel mausoleo di famiglia, annesso all’antica Basilica ambrosiana degli Apostoli, oggi dedicata a San Nazzaro, progettato da Bartolomeo Suardi detto il Bramantino. Il monumento equestre venne invece commissionato a Leonardo che lo realizzò di proporzioni incompatibili con il sito, ma questa è un’altra storia.
Milano – Corso di Porta Romana, il Mausoleo Trivulzio
eguirono alcuni decenni particolarmente travagliati, che videro alternarsi ripetutamente nel possesso i Trivulzio, sostenitori del partito francese, gli Stampa, sostenitori di quello sforzesco, e i Rabbia. La vicenda si concluse nel 1531, quando Gian Fermo II Trivulzio ed i cugini ottennero da Francesco II Sforza (secondogenito di Ludovico il Moro) l’investitura del feudo di Melzo e di Gorgonzola, per essi e i propri discendenti maschi ‘ad infinito’; e ai Trivulzio, in barba all’infinito, il feudo di Melzo rimarrà ‘solo’ per altri 150 anni, quando, inesorabilmente, il 25 luglio 1678, morì senza lasciare eredi il principe Antonio Teodoro Trivulzio. In quel frangente sia gli Stampa che i Rabbia tentarono di ottenerne una nuova investitura ma il feudo passò all’erario spagnolo.
Ampliato nella fase centrale del Cinquecento da Laura Gonzaga, moglie di Gian Giacomo Teodoro Trivulzio, il castello fu in gran parte riedificato nella prima fase del Seicento dal nipote cardinale Teodoro, avvalendosi del celebre architetto Fabio Mangone e col concorso di diversi artisti, tra i quali Paolo Camillo della Rovere detto il Fiammenghino. Restaurato negli anni 1810- 1811 dall’architetto ticinese Simone Cantoni, che progettò la sontuosa facciata in stile Neoclassico, fu ceduto da Cristina Belgioioso Trivulzio nel 1838 e subì interventi devastanti, diventando sede di fabbriche tessili, quindi del primo asilo infantile e delle scuole elementari e infine sala cinematografica. Fu parzialmente restaurato e ristrutturato a partire dalla fine del Novecento.
I giardini del Palazzo, probabilmente “all’italiana”, si estendevano fino alla Porta Milano e alla cinta muraria a settentrione del borgo. Rigogliosi di piante, avevano fontane con giochi d’acqua e un labirinto di siepi con sculture. Di fronte all’ingresso principale sorgeva il Circo, una piazzetta semicircolare adorna di grandi statue, spazio di rara bellezza espressamente voluto dal Principe cardinal Teodoro. Attestato nella mappa seicentesca di Melzo, nulla si sa degli autori della sua distruzione, né della sorte delle opere d’arte.
Luigi Minuti
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