Un angolo di Paradiso. Cultore di storia cornatese, insignito dell’Airone d’Oro 2019 (civica benemerenza del locale Comune), Guido Stucchi ci accompagna in questa località di Cornate d’Adda: passaggio di eserciti, sosta di nobili in villeggiatura, ritiro dei Gesuiti e persino di un esule arcivescovo ambrosiano. Per la prima volta, sostenuto dalla bibliografia in calce, l’autore riallinea le vicende di Villa Paradiso dalla storia all’attualità.
Villa Paradiso è una località appartenente alla città di Cornate d’Adda (MB). E’ situata a est di quel territorio, sulla sponda destra del fiume Adda. Un sentiero che si snoda in mezzo ad un fitto bosco, la collega al fiume e alla relativa alzaia che in direzione sud porta verso Milano e in direzione nord verso Lecco. Al di là del fiume, sopra l’alta sponda, è situato l’abitato di Suisio in terra bergamasca. Villa Paradiso era attraversata da una strada detta costiera, che seguiva cioè la costa superiore del fiume e che partendo da Trezzo sull’Adda arrivava nei paesi del Lecchese. Ora da Villa Paradiso a Porto d’Adda la costiera è ridotta a un sentiero adibito al passaggio dei mezzi agricoli, mentre da Porto a Paderno il tracciato a volte è irriconoscibile.
Prima della costruzione del Naviglio di Paderno, i barconi provenienti dal lago di Lecco erano impossibilitati a proseguire navigando in Adda, per via di grossi massi in quel tratto del fiume: si fermavano dunque a Brivio, dove le merci venivano caricate su carretti e portate, seguendo la costiera, fino a Trezzo; qui dove venivano ricaricate su altri barconi che, solcando il Naviglio Martesana, raggiungevano Milano. Ma anche dopo l’apertura del Naviglio di Paderno i carrettieri usufruivano di questa strada per raggiungere i mercati dei paesi rivieraschi. Il traino terrestre animale, su percorsi medio-corti, era molto più veloce di quello fluviale. Va da sé che su questo percorso i punti di ristoro erano numerosi, così anche a Villa Paradiso era aperta un’osteria che faceva concorrenza a quella di Porto per la qualità del vino. Non solo. Nel 1780 l’Osteria dei cacciatori di Villa Paradiso, proprietà del signor Giovanni Carcano, guadagnava quasi come l’unico oste, certo Antonio Robiati, che allora esercitava nel paese di Cornate.
Nei secoli scorsi sul fiume, sempre in questa località, si trovava un punto di passaggio da una sponda all’altra, denominato Guado di Bagna (bagna indica le ripide sponde dell’Adda sulle quali cresce una fitta e umida boscaglia). Da qui passarono e si scontrarono molti eserciti. Nel 222 a.C. quello romano, comandato dal console Gaio Flaminio, transitò qui in marcia verso la Gallia Cisalpina dove si scontrò con l’esercito celtico in una furiosa battaglia, lasciando sul campo molti morti e feriti. Nel 688 d.C. dal guado passarono i soldati del longobardo Alachis che si scontrarono nella piana di Cornate con l’esercito del re longobardo Cuniperto nella battaglia denominata di Campus Coronatae (campo coronato dalle montagne): migliaia di morti disseminarono la bagna. Nel 1323 attraversarono qui i soldati dell’esercito crociato contro Galeazzo Visconti dopo la scomunica lanciata da papa Giovanni XXII contro Matteo Visconti e i suoi figli. Nel 1705 l’avanguardia dell’esercito imperiale austriaco, al comando del principe Eugenio di Savoia, cercò di attraversare l’Adda per combattere contro l’armata franco-spagnola al comando di Luigi Giuseppe duca di Vendome nella Guerra di Successione Spagnola.
Sulla strada costiera, provenendo da Trezzo e prima dell’abitato di Villa Paradiso, si incontra sulla destra una colonna di granito, con basamento in pietra e sormontata da una croce, dedicata ai Morti di Bagna. Venne innalzata qualche secolo fa in sostituzione di altre croci in ferro che ricordavano le migliaia di persone perite e qui sepolte, sia in battaglia sia durante le epidemie. Negli anni passati, nel perdurare di particolari siccità estive, era abitudine del popolo cornatese andare in processione di sera, orante e con le candele accese, a implorare i Morti di Bagna affinché con la loro intercessione i campi potessero essere gratificati dalla benefica pioggia, salvando così raccolti e animali.
Le testimonianze dei primi abitanti di Villa Paradiso sono state trovate nella parte alta, a sud-ovest dell’odierno abitato. Alla fine del secolo scorso è stata scoperta, grazie all’intuizione del cornatese dottor Ezio Parma, cultore di storia locale e appassionato di archeologia, una grandiosa villa rustica romana risalente al III secolo d.C. e trasformata nel VII/VIII secolo dagli occupanti longobardi in necropoli. Infatti, all’interno dell’area abitata dell’edificio, sono state rinvenute 17 tombe, ancora intatte e contenenti gli scheletri degli antichi “Coronatesi”. Sempre nelle vicinanze fra altri ruderi antichi è stata individuata una piccola cisterna, anch’essa risalente al periodo della villa rustica, costruita con i sassi dell’Adda e materiali laterizi: qualche anno fa è stata traslata nel giardino di fronte all’edificio comunale, a testimonianza delle nostre antiche origini. Attualmente gli scavi sono chiusi, in attesa di tempi favorevoli alla ripresa.
Fin dal 1393 l’ubertoso territorio che, da Brivio in giù, comprendeva anche Villa Paadiso divenne riserva di caccia del signore di Milano Gian Galeazzo Visconti perché ricco di selvaggina, in particolare caprioli e cinghiali. Sul finire del XVI secolo troviamo come proprietario un certo Leon Santo di Trezzo (detto anche Leonforte) che fece costruire una casa da nobile con annessa casa da massaro per seguire la coltivazione dei fondi. Leon Santo era un personaggio prepotente e un assassino che, avendo ucciso con un’archibugiata in Trezzo un Figini, fu definitivamente condannato alla pena capitale e tutti i suoi beni vennero confiscati. È tradizione popolare che il nome di questa località sia stato attribuito proprio in questo periodo: quando qualche rivale o nemico del signorotto entrava nella proprietà, difficilmente ne usciva; anzi spariva. A chi chiedeva notizie sugli irreperibili, la gente del contado rispondeva sono andati in Paradiso.
Nel 1635 le proprietà vennero acquistate dal marchese Paolo Torriani e comprendevano edifici d’abitazione, campi, boschi, brughiere e anche una segheria (resega) situata sulla sponda del fiume e demolita nel 1910 per far posto alla centrale idroelettrica Carlo Esterle della Società Edison. Nel 1641, sempre in riva al fiume, fece costruire un mulino (detto mulinetto) ad un solo palmento che utilizzava l’acqua di diverse sorgenti che scaturivano dalle pareti di ceppo. Nel 1902 venne trasformato in una trattoria, specializzata nell’offrire agli avventori dell’ottimo pesce appena pescato e rimesso in grandi vasche alimentate dal piccolo canale che trasportava acqua al mulino.
L’insegna recitava: Trattoria del pesce vivo, mentre a lato della trattoria, su un pianoro roccioso rialzato, una grande tettoia in legno adibita a sala esterna della trattoria portava l’iscrizione Pesce vivo sempre pronto. Il pianoro era delimitato da un’alta parete di ceppo, dentro la quale si aprivano delle grotte naturali e sotto le quali gli avventori si riparavano dagli improvvisi acquazzoni estivi. Ora l’edificio è abbandonato. Alle spalle del mulino era in servizio, fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, una barca che, agganciata con una catena ad una fune di ferro ancorata sulle due sponde, traghettava i passeggeri dal Milanese al Bergamasco e viceversa. Alla morte del marchese Torriani tutti i beni passarono di proprietà al figlio Gaspare, frate appartenente alla Compagnia di Gesù, sita nella città di Como e alla quale l’erede donò l’intera proprietà.
Verso la fine del ‘600 i Gesuiti fecero costruire sul posto, inglobando altri edifici, una grandiosa villa, utilizzata per i loro ritiri spirituali e, vista l’amenità del luogo, passavano intere giornate in silenziosa meditazione e riposo. Inoltre, a lato della villa, edificarono una piccola chiesa dedicata a Sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù. Nella seconda metà del 1900 l’oratorio venne sconsacrato e adibito ad altri usi.
Nelle vicinanze della villa ampliarono delle costruzioni rurali, ottenendo un cascinale quadrato, con al centro un largo cortile. Qui vi erano le abitazioni dei contadini che lavoravano le terre di proprietà dei frati, le stalle, i fienili, un caseificio e un locale con un torchio per la produzione di vino, ottenuto pigiando l’uva che cresceva copiosa nei vigneti coltivati sui soleggiati declivi, digradanti verso il fiume.
Tutta la produzione serviva a sostenere i membri della congregazione ed anche per la vendita; i prodotti deperibili erano conservati in una grande ghiacciaia, dalle spesse pareti in muratura, ricavata nei sotterranei della villa, ancora oggi visibile. Mentre il vino invecchiava nelle fresche cantine con la volta a botte in mattoni, utilizzate sino ai giorni nostri. I frati costruirono anche un sentiero, tuttora usufruibile, che dalla villa scendeva al fiume e dal quale salpavano le loro barche, cariche di derrate e passeggeri, perché tramite il Naviglio Martesana raggiungessero la sede dell’ordine nel Collegio di Brera a Milano. Dopo l’erezione di questo edificio la località prese il nome di Villa Paradiso. Naturalmente la precedente nomea era stata rivalutata nel senso più positivo del termine. Il 15 agosto 1705 la villa venne danneggiata dalle artiglierie austriache, appostate sulla costa di Suisio, al cui comando vi era il principe Eugenio di Savoia (ul cerech, il chierico) che combatteva per la successione al trono di Spagna contro le truppe franco-spagnole, comandate dal duca di Broglio e qui si erano accampate.
La Compagnia di Gesù, salita in grande potenza per le vaste influenze, incominciò ad essere avversata e combattuta dalle correnti delle nuove idee massoniche-liberali che dilagavano specialmente dalla Francia: filosofi, scrittori e principi si unirono nella lotta ad oltranza contro i Gesuiti. Nel 1773 il 21 luglio l’ordine venne sciolto definitivamente da papa Clemente XVI e tutti i loro beni vennero confiscati e venduti all’incanto.Così anche negli Stati sotto il dominio di Maria Teresa d’Austria, la Compagnia di Gesù fu sciolta con Lettera Pontificia (Breve Pontificio) del 7 settembre 1773, munita dell’autorizzazione imperiale (Regio exequatur) nella quale venivano riservati i diritti di sovranità su tutti i beni, per farne uso pubblico.
Tutto il patrimonio venne amministrato dal conte Durini fino al momento della vendita all’incanto che, per la Villa Paradiso, iniziò il 21 giugno 1779. Si presentò un solo offerente, tale Antonio Riva, che offrì centomila lire imperiali: fra richieste di rilanciare l’offerta e domande per dilazionarne il pagamento e in attesa dell’autorizzazione dall’autorità preposta, i termini del contratto scadettero, permettendo al Riva di sciogliere l’impegno. Si presentarono allora i fratelli Bughi: i reverendi don Prospero e don Giuseppe, appartenenti ad una antica e nobile famiglia di Cornate. Il Durini trattò amichevolmente la vendita con i Bughi che l’11 novembre 1779 sborsando 123mila lire imperiali; la villa passò di mano. Nei primi anni dell’ottocento Gaetano Bughi, altro nobile appartenente alla stessa famiglia: alla ricerca di presunti tesori nascosti, fece demolire gran parte della villa.
Più tardi l’edificio venne acquistato dal conte Carlo Gaspare Parravicini di Milano che lo tenne fino ai primi anni del Novecento. Qui, nella notte del 19 maggio 1861, si rifugiò Mons. Carlo Caccia Dominioni (1802-1866) cugino del conte e vescovo vicario capitolare della diocesi di Milano, dopo che alcuni facinorosi lo aggredirono in duomo, colpevole di non voler aderire ai festeggiamenti per la costituzione del Regno d’Italia del 17 marzo 1861. Da Villa Paradiso il vescovo diresse la più grande diocesi del mondo fino al 15 luglio, quando si trasferì nel seminario di Monza per facilitare i contatti con Milano.
Mons. Caccia Dominioni, il 2 ottobre 1866, ritornò a Villa Paradiso per motivi di salute, e qui morì il 6 ottobre dello stesso anno. Per ragioni di ordine pubblico le Autorità vietarono il trasporto della salma a Milano per le esequie, sperando di rimandarle in un prossimo futuro, quando gli animi si fossero calmati; quindi il funerale si svolse a Cornate, con sepoltura nel cimitero. Mons. Caccia Dominioni non ritornò più a Milano, né da vivo né da morto. Nel 1902, nel centenario della nascita, la salma fu traslata definitivamente nella chiesa parrocchiale di Cornate.
Nel 1918 la villa divenne di proprietà della famiglia Stucchi, ora giunta alla quinta generazione, che la trasformò in un ristorante, oggi denominato Al Castello e con l’aggiunta del servizio di B&B. Qui si gustano piatti riferiti alla tradizione locale in un ambiente di antica atmosfera. All’entrata del ristorante fa bella mostra di sé, in una teca di vetro, una palla di cannone in ferro, risalente alla battaglia del 15 agosto 1705 e rinvenuta tra i sassi che formano il basso muro di cinta, che delimita il parco dell’edificio, rivolto verso il fiume Adda. Sull’alzaia del fiume, compresa tra il Mulinetto e la centrale idroelettrica Esterle, si trova una secolare sorgente di acque che scaturiscono dalla sovrastante parete di ceppo, denominata Ruschetta: qui si approvvigionavano gli abitanti di Villa Paradiso, di Cornate e di Porto. Ogni carretto che quotidianamente faceva capo al mulino o alla segheria (resega) faceva sosta alla fonte riempendo damigiane e fiaschi di ottima acqua che serviva per gli usi alimentari della famiglia; anche i barconi che risalivano o scendevano lungo l’Adda si fermavano a raccogliere l’acqua da bere durante il lungo tragitto.
Edoardo Meani, segretario comunale di Cornate, nel 1877 scrisse un piccolo libro sulla storia del paese e dedicò qualche riga alla qualità medicamentosa dell’acqua della Ruschetta: «…dall’analisi delle cui acque, risultano in esse contenute in proporzioni varie magnesia, ferro, nitrato di potassa e fosfato di calcio, spiegando un’azione palesemente diuretica, promovendo e facilitando le facoltà digestive ed il bisogno di abbondante nutrizione per soverchia appetenza che sviluppasi in seguito all’uso delle medesime». Oggi centinaia di camminatori e ciclisti che transitano in questo luogo, soprattutto nelle calde giornate estive, trovano sollievo all’arsura in queste fresche e limpide acque. Nel secolo scorso le sponde dell’Adda furono aggredite dai cavatori di ghiaia, che lasciarono qui profonde ferite. Una di queste fu sanata, verso la fine del secolo, con l’impianto di un grande campo da golf da 18 buche di fama internazionale, denominato Villa Paradiso Golf Club. La verde visione ondulata del campo non può non far pensare di essere arrivati nel giardino dell’Eden.
Sulla vecchia costiera, verso Porto, è aperto un maneggio col nome di Il Turchese. Si allevano cavalli Haflinger, ci sono comode e attrezzate stalle adibite a pensione, si possono seguire i corsi di equitazione. È un’oasi felice, immersa nel verde, per gli appassionati di cavalli: in particolare si insegnano ai bambini i primi rudimenti del cavalcare e si organizzano gite equestri lungo i sentieri che costeggiano l’Adda. Osservando il paesaggio fluviale durante una cavalcata, ci si emoziona immedesimandosi nei nostri antenati, che usavano il cavallo come unico mezzo veloce di viaggio. Queste sono eccellenze del territorio che innalzano la notorietà di questa località. Sotto l’insegna stradale che ci avverte dell’arrivo a Villa Paradiso, starebbe bene un’appendice di eco classicista: DEUS NOBIS HAEC OTIA FECIT.
Guido Stucchi
Bibliografia
BERETTA Rinaldo, Cornate d’Adda. Note di Storia, Carate Brianza (MB), 1953
MEANI Edoardo, Cenni Storico-Statistici sul Comune di Cornate, Treviglio (BG), 1877
MOLTENI Fedele, Il mistero dei Mort de San Cerech e di Campo san Maurizio a Porto d’Adda, Cornate d’Adda (MB), 2007
PARMA Ezio, L’eternità di Cornate d’Adda – Scavi archeologici dal 1995 al 2003, MCG Ezio Parma editore, Sesto San Giovanni (MI), 2004
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Le foto a corredo sono tratte dalle pubblicazioni edite dal dott. Ezio Parma
Una ricerca completa ed esauriente, complimenti all’autore.
Ci uniamo ai complimenti, Virgilio! Grazie del messaggio. L’amore, che Guido nutre per il territorio, diventa scropolisità e competenza quando mette mano alla penna per scriverne. Su questo sito c’è un altro suo bellissimo articolo sul ciclo pittorico Rossi di Porto d’Adda; ma speriamo di pubblicare presto altri contributi a sua firma.
Vero 👋‼️