Principale presidio del fiume Adda, importante già in epoca romana e longobarda, fu prescelto dal Barbarossa come propria sede operativa (1158), distrutto dal nipote Federico II venne ricostruito da Barnabò Visconti che, mal ripagato dalla sorte, fu tradito dal nipote Gian Galeazzo, che (1385) per usurpargli la signoria lo fece imprigionare ed avvelenare proprio entro quelle mura.
Trezzo sull’Adda – veduta della torre del castello dall’ansa del fiume Adda (Foto Maurizio Ferrandi)
Una situla celtica in rame, sorprendentemente intatta, risalente al IV secolo a.C, rinvenuta in zona Bernà a Trezzo nel 1846 (reperto oggi tra i più ammirati al Museo Archeologico di Milano) e la conformazione romana dell’abitato (con tanto di cardo e decumano), ma anche cocci ceramici, frammenti di laterizio, coperchi di sarcofagi e monete di età imperiale tornati numerosi alla luce nel XX secolo dimostrano l’antichità della presenza umana a Trezzo sull’Adda.
Ma sono i più recenti ritrovamenti di due importanti necropoli longobarde in località San Martino, nel 1976-1978 e poi ancora negli anni 1990-1992, a certificare che questa presenza fu davvero molto importante proprio durante il periodo longobardo (568-774 d.C.). Cinque le sepolture venute alla luce tra il mese di settembre 1976 e il mese di marzo 1978 con bara lignea, databili al VII secolo, disposte su due file parallele orientate est-ovest. Coperchi in serizzo a due falde coprivano le sepolture, tutte – a esclusione della prima, in mattoni – costituite da lastroni di pietra irregolari ricavati da più antichi sarcofagi romani e in alcuni casi rivestite di pietre o frammenti di tegole.
Trezzo sull’Adda – Veduta del castello dal ponte della strada che da Capriate conduce a Brembate
Che si trattasse di una necropoli nobiliare apparve subito evidente: i reperti contenuti in tutte le tombe denunciavano l’appartenenza dei defunti a un rango sociale ed economico molto elevato, documentato anche dopo la morte da anelli-sigillo, ricchi paramenti e guarnizioni in broccato. Proprio la presenza di sigilli usati in atti pubblici confermerebbe che – almeno per tre di queste tombe – si è alla presenza di alti funzionari regi, quei gastaldi che amministravano le terre e costituivano il perno del Regno longobardo in Italia.
La prima necropoli longobarda di Trezzo ha restituito un patrimonio straordinario di oggetti raffinati e preziosi – anche questi come la situla di cui abbiamo all’inizio parlato, sono esposti nel nuovo Museo Archeologico di Milano in via Meravigli), ornamenti che testimoniano il rango dei defunti e simboli di quel potere che il sovrano aveva loro conferito: fili d’oro appartenuti a un tessuto broccato, spade a doppio taglio con impugnatura in argento e decorazioni auree nel fodero, cinture in oro di tipo bizantino, croci in lamina d’oro con motivi a sbalzo intrecciati, un anello sigillo con gemma incastonata con inciso un granchio, scudi da parata, fibbie in bronzo, cuspidi di lance e punte di freccia di fogge diverse, spade più corte a unico taglio adatte al combattimento ravvicinato da cavallo, cinture in ferro, speroni e guarnizioni finemente decorate e monete d’oro.
La seconda necropoli, sempre in località San Martino, emersa dieci anni dopo il primo ritrovamento, era composta da tracce di numerose sepolture riferite ad un periodo compreso tra la fine del VI e la prima metà del VII secolo d.C. Tagliate a varia profondità nel terreno e disposte in otto file parallele con orientamento nord-sud, le 25 tombe si presentarono diverse tra loro per struttura e costruzione. Accanto a semplici fosse scavate nel terreno, erano infatti riconoscibili recinzioni in ciottoli e laterizi, pareti in coccio pesto, sepolture con fondo in materiale romano di recupero, come laterizi, pietre o intonaci dipinti. Le diverse tipologie e le differenti tecniche di costruzione di queste tombe erano certo dovute all’eterogeneità dei materiali disponibili, ma con molta probabilità riflettevano anche scelte precise, direttamente connesse allo status sociale dei defunti.
Nonostante le numerose e pesanti violazioni avvenute in antico – scrive Marco Lissoni in “I Longobardi a Trezzo” ed. Comune di Trezzo sull’Adda 2002 – alcune di queste sepolture hanno restituito materiali che confermano anche in questo caso l’appartenenza dei defunti a un rango sociale piuttosto elevato anche se non così elevato come quello dei cinque dignitari emersi precedentemente. Si tratta in particolare di piccole croci auree, fili d’oro che lasciano immaginare abiti con inserti di broccato, monili in pasta di vetro, guarnizioni in argento.
Pare giusto segnalare ai lettori che la località S. Martino a nord ovest di Trezzo è confinante con il paese di Cornate d’Adda (un tempo Coronate), località Fugazza, Cascina dei Frati, citata dallo storico longobardo Paolo Diacono – in “Historia Langobardorum” Libro quinto, capitoli da 39 a 41 – come quella in cui nell’anno 690, il re longobardo Cuniperto (686-700) combattè e dopo una dura battaglia sconfisse l’antagonista duca di Trento Alachis che aveva tentato di sottrargli il trono e già aveva conquistata Pavia. Alachis venne ucciso e sepolto, scrive il Diacono, proprio in località Fugazza sul confine con Trezzo, dove si narra che re Cuniperto, per celebrare la vittoria fece costruire una chiesa dedicata a San Giorgio, patrono delle milizie, e un monastero che sembra sia stato il più antico convento cluniacense maschile del Milanese.
Trezzo sull’Adda – resti dello sperone di roccia su cui poggiava l’ardito ponte distrutto nel 1416 – Foto Ferrandi
Le sepolture di Trezzo sull’Adda, conseguenti forse alle molteplici battaglie ivi combattute, sottolineano però anche, in maniera evidente, il generale interesse politico ed economico della monarchia longobarda per i territori lungo il fiume, ricchi di sabbie aurifere, di cave di argilla, di estese selve che fornivano prezioso legname. Un territorio dove già in epoca tardo antica erano concentrate vaste proprietà terriere, delle famiglie senatorie romane, costrette a frequentare Milano, la nuova Roma, capitale dell’Impero d’Occidente dal 268 al 404. Il sito era essenziale per il controllo militare e amministrativo dell’intera regione ma anche delle proprietà senatorie.
A protezione del sito tanto strategico quanto popoloso di certo doveva esserci già nel VII secolo un ‘castello’, pervenuto in epoca carolingia e ulteriormente rafforzato nei primi anni del X secolo da Berengario I del Friuli (re d’Italia dall’888 al 915 e Sacro Romano Imperatore dal 915 al 924) al quale, nella crisi dell’istituzione imperiale, toccò l’arduo compito di difendere il Nord Italia dalle sempre più sanguinarie e ricorrenti scorrerie degli Ungheri. Stabilì infatti la sua linea di difesa lungo l’Adda riuscendo a bloccare l’avanzata di quei barbari verso Milano.
Sotto il cinquantennio di stabilità degli imperatori di Casa Sassonia con Ottone I-II-III (951-1002) e sotto i nipoti di questi (Enrico II e Corrado II) il castello passò sotto la giurisdizione degli arcivescovi milanesi ai quali fu sottratto nel 1158 da Federico I ‘il Barbarossa’ – secondo le (“Memorie della città e campagna di Milano ne’ secoli bassi” del conte Giorgio Giulini – Milano Francesco Colombo Libraio Editore anno 1855 – Volume III Pagg. 476-477-478)per tornare ai Milanesi sotto il dominio del nipote Federico II. Annzi, il Barbarossa, secondo il conte Giulini, ne aveva fatto la sede sicura del proprio Cancellierato in Italia e da qui, nel 1162, mosse le sue poderose truppe volte alla distruzione della ribelle Milano.
Trezzo sull’Adda – Nella corte del castello, il pozzo dei misteri, in cui si favoleggia di fantasmi e di tesori
Il Castello, vera e propria fortezza inespugnabile, in seguito fu ricostruito nella forma che oggi conosciamo verso la fine del XIV secolo da Bernabò Visconti (1355-1385) che, non avendo in sito problemi confinari essendo co-signore di Milano e signore di Bergamo e di Brescia (quindi sia di qua che di là dell’Adda), pur non rinunciando all’agibilità ed alla sicurezza, gli conferì gli agi della residenza signorile. Circondato per tre lati dal fiume, il castello era tuttavia difeso via terra da imponenti mura e da una torre a pianta quadrata alta più di quaranta metri. Il vero capolavoro ingegneristico però era l’ardito ponte ad una sola arcata che collegava le due sponde dell’Adda, di cui oggi sono visibili solo la spalla e l’attacco: il ponte infatti fu inutilmente distrutto dopo soli trent’anni dal condottiero Francesco conte di Carmagnola (1385-1432) durante un assedio nel 1416 al tempo dell’occupazione dei territori orientali dell’Adda da parte di Pandolfo Malatesta prodromo dell’espansione veneta fino alle sponde dello strategico fiume.
Trezzo sull’Adda – Tra i resti dell’antico castello – Foto di Maurizio Ferrandi
La storia del castello, nel secondo millennio, è dunque intimamente legata alle vicende del suo costruttore, Barnabò Visconti, che tra il 1365 ed il 1370 ebbe a ricostruire il precedente castello caduto da tempo in rovina. Signore crudelissimo, utilizzava la sua fortezza per i suoi maggiori piaceri: feste lussuriose che non raramente terminavano con la morte cruenta delle sue numerose amanti, e battute di caccia al cinghiale che coinvolgevano i suoi cinquemila cani (dalla sorte dei quali dipendeva la vita dei contadini di Trezzo). Ma fu proprio in questo castello che, nel 1385, Barnabò, tradito dal proprio nipote Gian Galeazzo (1385-1402), vi fu imprigionato nelle sue stesse segrete, ed ucciso mediante avvelenamento.
Negli anni successivi il castello non perse il suo ruolo strategico, posto com’era sull’Adda, divenuto il confine tra il Ducato di Milano e la Serenissima Repubblica di Venezia. Durante la Signoria sforzesca prima e la dominazione spagnola poi furono adeguate le mura al progresso militare del tempo, così da rendere la fortezza impenetrabile anche di fronte ad un cannoneggiamento.
Trezzo sull’Adda – Tra i resti dell’antico castello – Foto di Maurizio Ferrandi
Anche Napoleone Bonaparte ne riconobbe l’importanza militare, quando durante la sua campagna in Italia ordinò di “dar mano senza ritardo alla fortificazione di Trezzo sull’Adda”. Nella prima metà dell’Ottocento il castello divenne proprietà privata e svuotato del suo ruolo strategico subì anzi una sistematica distruzione: i blocchi squadrati di ceppo delle sue mura furono smantellati e venduti per la costruzione dell’Arena di Milano, mentre alcuni frammenti decorativi furono impiegati negli edifici annessi alla Villa Reale di Monza.
Strano destino questo dei ceppi del Castello di Trezzo. Essi in realtà erano stati squadrati nel basso medioevo per essere primieramente impiegati nella costruzione dell’insigne Basilica di Santa Giulia a Limine (Bonate Sotto) che la tradizione fa risalire ai tempi della regina Teodolinda, così come si tramanda che in detta basilica si conservino le spoglie di una delle figlie della Regina longobarda, Tatiana. La Basilica, come l’intero agglomerato di Limine, è stata semi-distrutta e le sue pietre squadrate in ceppo del Brembo sono state razziate ed asportate da Bernabò Visconti che le impiegò nella ricostruzione del castello di Trezzo. La vicenda di Bernabò è emblematica anche sotto il profilo umano perché il castello da lui ricostruito diverrà anche, come abbiamo visto, la sua prigione e la sua prima tomba, Si sa in fatti che verrà poi traslato nella Basilica di San Giovanni in Conca a Milano nel mausoleo per lui scolpito da Matteo da Campione, ed infine, poiché anche da morti si è precari, oggi al padiglione d’ingresso della raccolta scultorea nel Castello Sforzesco, avendo al fianco destro la sepoltura altrettanto monumentale della moglie, Beatrice della Scala.
Milano, Castello Sforzesco, Monumento a Bernabò Visconti di Bonino da Campione
Ma emblematica e singolare è anche la storia minore di quelle pietre di fiume che hanno spogliato la Basilica di Bonate (al riguardo si fa riferimento al verbale della visita pastorale a Santa Giulia, nel maggio 1550, del vescovo di Bergamo, Vittore Soranzo, che di questo smantellamento riferisce). Chissà se le nuove destinazioni di Milano e Monza saranno l’approdo definitivo per i ceppi di Bonate e di Trezzo che se non altro ci confermano riguardo al pregio dei materiali ricavati dal fiume orobico e alla capacità di lavoro di coloro che li hanno modellati e più volte reimpiegati.
Trezzo sull’Adda – Tra i resti dell’antico castello – Foto di Maurizio Ferrandi
Nel 1891 il castello fu acquistato dall’industriale tessile Cristoforo Benigno Crespi: l’antica fortezza ormai in rovina divenne così parte integrante dell’imponente centrale idroelettrica Taccani. Il castello ebbe un ruolo non secondario anche durante la Seconda Guerra Mondiale: qui infatti si rifugiavano i trezzesi durante i bombardamenti, e proprio tra queste mura, raccontano le cronache locali, si svolsero drammatiche battaglie tra partigiani e truppe naziste. Infine è stato acquistato dal Comune che con gradualità lo ha trasformato in complesso storico museale.
Luigi Minuti
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