Sulla riva di Trezzo la centrale idroelettrica «Alessandro Taccani» resta l’estremo, innamorato, insonne capolavoro di Cristoforo Benigno Crespi. Pioniere dell’industria cotoniera e fondatore del villaggio operaio di Crespi d’Adda (patrimonio Unesco dal 1995), costui affronta quindici anni di oscure burocrazie e chiarimenti tecnici prima di inaugurare il presidio nel giugno 1906. Un uomo che parlava con semplicità ai rispettabili e con rispetto ai semplici, convincendo marinai e lavandaie, Comuni e privati imprenditori all’avventura dell’idroelettricità.
Cristoforo Benigno Crespi volle la moderna centrale «Taccani» (già «Benigno Crespi») all’ombra antica del castello visconteo di Trezzo, ricalcandone le forme in dosata armonia. Strinse la mano agli ingegneri dal calcolo più sottile: Pietro Brunati per le prime ipotesi d’insediamento idroelettrico, Cesare Saldini in aggiornamento, Guido Semenza sul fronte elettrotecnico, Adolfo Covi per la concezione idraulica definitiva e Alessandro Taccani, risolvendo quest’ultimo a tralasciare una carriera nell’industria saccarifera per tenere regia sul cantiere idroelettrico. Volle al proprio tavolo anche l’arch. Gaetano Moretti, per vestire quella perfetta ingegneria con architettonica perfezione.
Cristoforo giocò la più lunga partita a scacchi con gli imprenditori Rolla e le altre aziende del dintorno, per articolare al meglio il suo intervento idroelettrico a vantaggio dell’industria non solo locale. Nel 1891 acquistò il castello di Trezzo, qui ponendo due uomini armati di guardia, per tutelarsi da qualsiasi altre iniziative idroelettriche sull’ansa fluviale. La guerra per l’acqua, l’oro azzurro del decollo industriale lombardo; i morti sul cantiere, caduti per innanzare la centrale idroelettrica «Alessandro Taccani»; i bombardamenti che la cercarono nel mirino, durante i due conflitti mondiali; la tradizione della modernità; i termogeneratori dalla Germania (avviati durante le magre del fiume), le pompe idrauliche da Torino, i manovali dalla Valsassina, il carbone scozzese; la gloria e la polvere. Un’epopea i cui protagonisti parlano sempre coniugando i verbi al futuro, nella certa fiducia che il domani è luminoso.
Da oltre un secolo la centrale idroelettrica «Alessandro Taccani» genera energia pulita e sostenibile lungo la riva destra dell’Adda. Qui la centrale si dispone armoniosamente tra due anse fluviali. Ogni anno, l’impianto produce circa 60 milioni di kilowattora, equivalenti al consumo medio annuo di 24mila famiglie, risparmiando emissioni in atmosfera per quasi 32mila tonnellate di anidride carbonica. La centrale rilascia inoltre un «minimo deflusso vitale»: il passaggio d’acque indispensabile alla sopravvivenza della fauna ittica. Nella spalla sinistra della diga, la «scala di risalita» consente ai pesci di rimontare oltre lo sbarramento, attraverso una “scalinata” con grandi vasche comunicanti al posto dei gradini. In entrata all’impianto, sgrigliatori meccanici filtrano l’acqua, trattenendone i detriti.
Il progettista Adolfo Covi colloca la centrale senza condotte forzate e con la diga a valle anziché a monte. A lato dello sbarramento, si apre una conca di navigazione, che consente il passaggio oltre l’ostacolo. Per sostenere la produzione elettrica durante le magre del fiume, l’impianto prevede nell’odierna «Sala Liberty» (oggi sede del museo digitale dell’acqua) una centralina termica a carbone, quasi subito dismessa specie per l’aumentato prezzo del combustibile.
La direzione del cantiere è affidata ad Alessandro Taccani, cui la centrale «Benigno Crespi» viene poi intitolata. I lavori fervono soprattutto durante le magre invernali, impegnando fino a 1.300 operai. A quindici anni dal primo progetto e dopo quasi quattro di cantiere, l’industriale Crespi inaugura nel 1906 l’impianto, presentato tra gli applausi alle esposizioni internazionali di Vienna e Roma. Specialmente incaricato da Crespi, l’arch. Gaetano Moretti consulta il panorama circostante in cerca d’ispirazione. La moderna centrale sorge all’ombra antica del castello visconteo, e ne ripete il profilo. L’impianto si arrocca, cinge una merlatura quasi militare, indossa a rivestimento la stessa pietra della vicina fortezza: il ceppo d’Adda, cavato dalle sponde fluviali. Le finestre alleggeriscono l’edificio, saldo come la fiducia d’allora nel progresso. Perfezionano l’architettura i pavimenti in legno, poi rimossi, e i superstiti ferri battuti di scalinate e lampade, attribuiti alla scuola di Alessandro Mazzucotelli. Proprio a questo edificio Antonio Sant’Elia, tra i massimi esponenti dell’architettura futurista, sembra ispirare alcuni dei suoi progetti più visionari.
Nel 1916 un’incursione aerea austriaca bombarda l’impianto, che verrà dotato di rifugi antiaerei. La centrale non sospende però la produzione, accettando l’incarico statale di fornire elettricità all’industria bellica. Reduce da due guerre, il presidio lungo l’Adda parteciperà alle rivoluzioni della pace: ripresa economica e nazionalizzazione elettrica.
Trattenuta dalla diga, l’acqua si riversa in centrale da piccoli archi e, precipitando per circa 8 metri, muove le turbine 187,5 volte al minuto. L’energia meccanica delle turbine viene trasmessa da un albero all’alternatore, che produce elettricità. Dopo la trasformazione in media tensione a 15.000 Volt, viene immessa sulla rete nazionale: sostenibile, pulita e rinnovabile. In uscita dalla produzione, l’acqua non ha nulla di più o in meno rispetto all’entrata: è restituita all’Adda tramite una vasca di raccolta e due gallerie sotterranee.
Alla fine degli anni Novanta, Enel rinnova l’intero impianto. Migliorandone la resa, sei turbìne d’acciaio aggiornano la produzione elettrica, un tempo affidata a dieci turbìne con doppia elica. Sette paratie a settore con comando oleodinamico rendono più rapida e sicura la movimentazione della diga, prima a palizzata di legno. Sotto il moderno sbarramento, una galleria subacquea permette la manutenzione. Successori dei regi custodi, assunti da Cristoforo Benigno Crespi, i tecnici Enel presidiano ancora oggi la diga 24 ore su 24. Mani nuove accolgono così l’ormai secolare fatica di fabbricare luce.
Cristian Bonomi
Per approfondire:
C. Bonomi, M. Donadoni, R. Tinelli, Fabbrica di Luce (Bellavite editore, 2015); visite a cura della ProLoco di Trezzo sull’Adda. Ringrazio Giovanni Mura (Enel) e Rino Tinelli.
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